sanitàIn Italia non c’è più garanzia del diritto alla salute. Per quanto riguarda la Sanità pubblica, il Documento di programmazione economica e finanziaria (DEF) 2016 in esame, conferma ancora una volta come si sia lontani dall’uscire dal paradigma dei tagli ed entrare in quello della qualità.
Si persegue una politica pericolosa, come dimostra l’ arresto del progressivo innalzamento della speranza di vita in generale e quella in buona salute.
Per la prima volta una battuta di arresto. Il sistema sanitario perde i colpi. Lo rileva l’ osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane con il rapporto presentato ieri. Effetti ingiusti delle politiche di austerita’ sulla sanita’.
In questi ultimi anni, il nostro paese è diventato più diseguale sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che negli anni si sono visti sottrarre servizi, tagliare prestazioni sanitarie e sociali, depauperare il sistema di protezione sociale.
In particolare e’ il sistema di prevenzione che è sempre più impoverito.
Chi non ha mezzi trascura la sua salute e riceve le cure in ritardo. In particolare nel mezzogiorno, ma possiamo dire che l’ Italia tutta sta divenendo il mezzogiorno di Europa.
La funzione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) tesa a garantire in modo uniforme il diritto alla salute è puro miraggio, soprattutto nelle regioni sottoposte ai piani di rientro.
Il diritto, alla salute non è più universalmente riconosciuto, ma dipende da dove si nasce, i soldi e l’ istruzione che si ha. Ma il governo e’ sordo.
Secondo il Documento di Economia e finanza in esame, la spesa sanitaria dovrebbe arrivare a 114,7 miliardi di euro nel 2017, a 116,1 nel 2018 e a 118,5 di euro nel 2019; vale la pena ricordare che questi numeri sono “teorici”, perché, come insegna l’esperienza di questi ultimi anni, la sanità pubblica ha avuto stanziamenti effettivi sempre inferiori a quelli che di volta in volta venivano indicati e promessi dai vari Documenti di economia e finanza presentati al Parlamento; il caso dell’anno 2016 è sotto questo aspetto paradigmatico: dai 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013, si è passati a 116,1 con il DEF 2014 e a 113,4 con il DEF 2015, per giungere a un finanziamento reale ed effettivo di 111 miliardi (legge di stabilità 2016), peraltro comprensivi dei 800 milioni di euro da destinare ai nuovi LEA (ancora in attesa di essere emanati).
Il dato più allarmante contenuto nel Documento di economia e finanza 2016 è che ancora una volta la spesa sanitaria in rapporto al Prodotto Interno Lordo (PIL) andrà diminuendo. Il che significa che in termini reali la fetta di risorse spettante alla sanità pubblica continuerà a ridursi ancora; come riporta il Documento in esame, nel 2010 la spesa sanitaria in rapporto al PIL era del 7%; nel 2015 era del 6,9; nel 2019 sarà del 6,5%.
Per ritornare ai livelli spesa sanitaria/PIL del 2010, secondo le indicazioni del Governo contenute in questo DEF , si dovrà aspettare il 2030-2035. Ossia bisognerà attendere 15-20 anni; ricordiamo che nel rapporto spesa sanitaria/PIL siamo da tempo al di sotto della media dei Paesi europei più avanzati.
Il Rapporto sullo stato sociale 2015, del Dipartimento di economia e diritto “Sapienza”, Università di Roma, ha confermato come i dati della nostra spesa sanitaria, sia in rapporto al PIL (7%) che pro capite indichino che siamo sotto la media dei rispettivi valori della UE a 15 (8,7%); dopo di noi ci sono solo Spagna Grecia e Portogallo; dati confermati anche dal Rapporto Sanità a cura di C.R.E.A. Sanità-Università di Roma Tor Vergata, presentato nell’ottobre 2015, secondo il quale la spesa sanitaria italiana è del 28,7% più bassa rispetto ai Paesi EU14, con una forbice, anche in percentuale del PIL, che si allarga anno dopo anno; come ricorda lo stesso DEF (pag. 105) <<la Legge di Stabilità del 2016 ha previsto una manovra di contenimento della spesa sanitaria per il 2016 di ammontare pari a 1.783 milioni di euro. Inoltre, è stato previsto un contributo del settore sanitario relativamente alla manovra complessiva a carico delle Regioni. Tale contributo è stato definito dall’intesa Stato-Regioni dello scorso 11 febbraio e ammonta a 3.500 milioni di euro nel 2017, 5000 milioni di euro nel 2018>>; a ciò aggiungiamo il sostanziale blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego e quindi dello stesso personale del Servizio sanitario nazionale, il blocco del turn-over e l’incapacità del governo di dare una risposta positiva alla precarietà di molto personale medico, con abuso di contratti atipici.
Tutto questo comporta un inevitabile peggioramento delle condizioni di lavoro e di conseguenza una riduzione della quantità e della qualità dei servizi sanitari erogati, e le modeste e aleatorie previsioni in materia di assunzioni nel comparto sanità previste dall’ultima legge di stabilità non avranno alcuna positiva ricaduta sostanziale; il DEF 2016 inoltre, poco o nulla dice circa i rinnovi contrattuali attesi da anni, limitandosi a citare i prossimi rinnovi ma senza indicare ipotesi di relativi oneri. In realtà l’unico accenno ai rinnovi contrattuali del Pubblico impiego lo troviamo nei paragrafi relativi alle previsioni di spesa 2017-2019 della Pubblica Amministrazione, dove si sottolinea che esse tengono conto, per quanto riguarda la dinamica delle spese di personale, di “un’ipotesi tecnica per il rinnovo contrattuale relativo al triennio 2019-2021”, della quale però non viene fornito alcun dettaglio.
Insomma, previsioni e tendenze a parte, per sapere l’ammontare effettivo delle risorse, sia per il comparto sanitario che per i rinnovi contrattuali, si dovrà aspettare la prossima nota di aggiornamento al Def e poi la Legge di stabilità a fine anno.
Per quanto riguarda invece i rinnovi contrattuali (e per la sanità anche delle convenzioni mediche), il DEF non offre cifre. La decisione sarà solo politica e dipenderà da quanto il Governo vorrà effettivamente mettere in campo in questo ambito; anche in questo Documento di economia e finanza manca quella che dovrebbe essere la premessa e la condizione ineludibile di qualunque politica sanitaria, ossia garantire a tutti i cittadini la necessaria assistenza sanitaria pubblica, attraverso un rafforzamento dell’universalità e dell’equità.
Un rafforzamento che deve contraddistinguere il nostro servizio sanitario nazionale, quale pilastro fondamentale del sistema di welfare; nulla si dice inoltre riguardo alla previsione di specifiche iniziative volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione che pesantemente colpisce questo settore, alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, anche al fine di liberare risorse importanti per il finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale; è infine grave che non vi venga fatta menzione alle iniziative che dovrebbero essere messe da subito in atto per superare una criticità ormai non più tollerabile, ossia l’impossibilità del nostro servizio sanitario a garantire in tutte le strutture sanitarie del Paese, il pieno diritto delle donne all’interruzione volontaria di gravidanza riconosciuto dalla legge 194/78; ricordiamo che solo pochi giorni fa, lo stesso Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa ha riconosciuto che l’Italia vìola i diritti delle donne che intendono interrompere la gravidanza, nonché i diritti degli stessi medici non obiettori di coscienza, costretti troppo spesso a sopperire alle carenze di organico dovuto alle elevate percentuali di medici obiettori.
Oggi serve un sistema sanitario che non lasci più soli chi ha meno mezzi, ma il Governo impegnato a razionalizzare le prestazioni secondo i criteri economici e non della buona salute non se ne accorge o piuttosto finge di non accorgersene.

Marisa Nicchi è stata eletta al Parlamento con Sel in Toscana