Il documentato volume di Anna Scarantino si presenta, come è evidente nel titolo, monografico e insieme biografico. Indaga infatti lo sconfinato tema della pace e, insieme, l’itinerario teorico e pratico di una artefice della pace stessa, Maria Bajocco, sposata Remiddi. L’interrogativo di partenza è di per sé frutto di una conquista storiografica recente: {{si può parlare di pacifismo al femminile?}} La domanda che oggi si può argomentare avendo alle spalle numerosi studi al riguardo, mette in forse, da sola, l’assunto che ha resistito indenne per moltissimo tempo negli studi storiografici generali e anche in quelli di settore: le donne tutte, senza alcuna eccezione, sono state e sono pacifiste per natura e per vocazione, in quanto datrici di vita.

Coloro che come la sottoscritta, ormai vari anni fa, hanno fatto studi di settore mettendo in forse esattamente questo assunto, non sono state certo guardate inizialmente con simpatia, ma con sospetto “politico”. Mi riferisco per quanto mi riguarda alla {{biografia su Teresa Labriola}}, filosofa socialista, femminista militante nelle associazioni, poi nazionalista interventista e infine fascista.

Nel primo capitolo dunque, Anna Scarantino, onestamente e obiettivamente enumera gli assi portanti di questo interrogativo, le sue ambiguità ed incertezze.
_ Nel ricordare il {{filone di studi basato sulla negazione del binomio donne-pace}}, in quanto smentito dai fatti o basato su stereotipi, scrive: “Compito non facile, perché quando si tocca questo tema si ha immediatamente la percezione di muoversi all’interno di un orizzonte concettuale a forte carica simbolica ed emotiva, che rende più difficile un sereno esame della realtà. L’esistenza di un binomio che leghi indissolubilmente le donne alla pace non solo in rapporto a concreti eventi storici, ma sul piano culturale, sociale, emotivo, perfino biologico, è un’idea così radicata e così profondamente interiorizzata da essere diventata un luogo comune o per meglio dire uno stereotipo forte nella sua capacità evocativa quanto ambiguo nei suoi effetti”(p.60).

I capitoli successivi mostrano invece in dettaglio la formazione e la crescita dell’{{impegno di Maria Bajocco}}, educata in una famiglia non particolarmente politicizzata, che la guerra costringe a ritirarsi dalla città, e a vivere il periodo più duro, dal luglio del ‘43 alla primavera del ‘45, a Muccia, nel cuore delle Marche, paese della madre di Maria.
_ Questi anni, che Maria Bajocco ha narrato in { {{Ricordi di guerra}} }, pubblicato recentemente, sono uno snodo nella vita di una artefice di pace, e non poteva essere diversamente.
_ Entra, sub specie della necessità di “fare per la pace”, la politica, piccola e grande, ricordandole che proprio i due stereotipati eventi della guerra e della pace, talmente ricorrenti da sembrare, come il materno, tanto dentro la storia da sembrarne fuori, vanno sottratti all’ineluttabilità. Rappresentano una scelta, in questo sta l’immoralità di accettarle o meno.

{{Maria Bajocco}}, sposata con tre figlie, Laura, Daniela e Maria Gaia,sceglie quel particolare approccio alla politica che era ed è l’associazionismo. Dalla fine del ’45 il progetto dell’Aimu è già delineato. “Si trattava, attingendo alle più profonde radici della femminilità, di coinvolgere quante più donne possibile, tutte virtualmente madri in un’Associazione che si proponeva di difendere la vita umana da tutte le forze e le situazioni che determinano le guerre”(p.155).

Con l’understatement che ne caratterizzò sempre l’infaticabile vita, Maria Bajocco Remiddi {{operò in continuazione con diverse modalità}}, avendo di fronte difficoltà non facili da superare: il pregiudizio che la pace fosse più una legittima aspirazione che una meta da perseguire individualmente e collettivamente; le necessità e le divisioni delle ideologie politiche, nazionali e internazionali, con linguaggi e obiettivi che spesso divergevano dall’associazionismo della società civile.
_ Una difficoltà anche attuale, e che fornisce una delle chiavi di lettura e di dibattito del volume più interessanti.

Ritengo infatti che la {{maggiore causa di crisi dell’Associazione Internazionale Madri unite per la Pace}}, o meglio concausa dell’imperfetto disegno che riuscì a tratteggiare, fu il difficoltoso rapporto con la politica partitica, che certo negli anni della guerra fredda non era privo di asprezze e incomprensioni.
_ Lo stesso associazionismo femminile era, come è noto, attraversato dalle contrapposizioni ideologiche: l’{{Unione Donne Italiane}}, cementata da posizioni social-comuniste e il {{Centro Italiano Femminile}}, espressione di un rinnovato associazionismo cattolico di base, espressamente battezzato nella nascente Repubblica. Meno vincolato e quindi più disinvolto il dialogo con il cosiddetto associazionismo “terza forza”, quello non direttamente ispirato dalle ideologie e dalla dottrina cristiana, in particolar modo il Consiglio Nazionale Donne Italiane.

In questo dialogo, ricco come si può intuire da quanto detto,che l’Aimu imbastisce con interlocutori nazionali, internazionali, istituzionali, partitici, risiede una dei maggiori pregi del volume, che, va detto a suo onore, ha visitato una quantità notevolissima di fonti a stampa e archivistiche che ha contribuito a renderlo, come si dice, uno studio di ampio respiro, a più voci e a più generi.

– Anna Scarantino, {[Donne per la pace. Maria Bajocco Remiddi e l’Associazione Internazionale madri unite per la pace nell’Italia della guerra fredda->http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.asp?CodiceLibro=1792.66]}, Milano, F. Angeli, 2006, pp.393, euro 25.000.