Se dovessi riassumere questo romanzo di Monica Viola in un unico termine, senza esitare sceglierei: consapevolezza.
Poi coraggio. Perché da sola la prima, difficile che esista.A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta {{l’infanzia e l’adolescenza di una vulcanica bambina alle prese con la costruzione della propria identità}}. Spasmodicamente, alla ricerca di affetto, tra l’ansia di accettazione e l’esigenza compulsiva di fare della seduzione uno stile di vita. Irrequietezza e insicurezza dovute al disagio interiore ma anche una carica disperata, un’esplosiva vitalità e una simpatia trascinanti.

Quello che fa {{Monica Viola}} con un linguaggio schietto e intenso, è renderci la {{ricostruzione di un processo di maturazione interiore}}, sulla scena di una Roma dove ritroviamo l’atmosfera del Piper, gli anni del rapimento Moro, la strategia della tensione, gli stivali Camperos, i volti dei Duran Duran, Twinings Earl Grey e pulmini senza riscaldamento, tutto affollato e mischiato insieme. E musica, tanta musica. La colonna sonora e la salvezza di una vita.

Si riflette, a volte si rimane impietriti, spesso si sorride. Ci troviamo immersi in{{ un oceano di stati d’animo}} e volentieri ci lasciamo trasportare nel viaggio, riuscendo a stare in apnea tra le pagine per ore, senza bisogno di prendere fiato. Abbiamo come guida due occhi disinibiti che sanno descrivere con precisione gli anfratti più reconditi del passato, senza timore di indicare cosa si nasconde sotto ogni masso anche quando pesa tonnellate.

Una volta riemersi, la prima cosa che si fa è inspirare affannosamente una grossa enorme quanto più grande possibile{{ boccata d’aria}}.
La seconda, è tirare {{un sospiro di sollievo}} nel pensare: ce la fa, ce la fa.
Realizziamo solo dopo, guardandoci intorno, che il posto dove siamo non è quello di prima. Eravamo lì pronti a salutare con la mano l’allegra famiglia srotolata al sole, pronti a tornare a nuoto verso le rassicuranti convinzioni riguardo noi e gli altri, ma adesso niente è riconoscibile, adesso lo scenario fuori e dentro è inspiegabilmente cambiato. Il fatto è che siamo riemersi in un altro pezzo di mondo. Non eravamo stati avvertiti ma il viaggio portava lontano.

Poco importa che poi il romanzo termini alla soglia della svolta decisiva, che della storia{{ non sia scritto esplicitamente come vada a finire}} e l’autrice ci lasci soli a costruirne il seguito.

Come se tutto fosse scorso su doppi binari insieme alla {bambina con i capelli a ombrellone}, resta la sensazione di aver imparato il ‘come si fa’, siamo tornati indietro e balzati avanti nel tempo anche noi, intenti a correre su e giù per le mille stanze interiori in vecchi appartamenti impolverati, cancelleria in disordine, parenti inquietanti, amori e non amori. Attratti o meglio risucchiati, da quella particolare vicinanza emotiva che l’autrice sa suscitare.

Allora forse la conclusione di un libro così, può essere solo quella che ognuno/a si ricorderà di dargli alla fine di un viaggio diretto alla volta di se stesso/a, dopo aver trovato il coraggio di tuffarsi nel proprio mare interiore, andando a scoprire e riordinare un passato più o meno contorto, in quel centrifugato di volti, immagini, emozioni e scene strampalate che si riaffacciano alla memoria.
E i capitoli prima, diventano la rampa di lancio.

{{Monica Viola,}}{ Tana per la bambina con i capelli a ombrellone}, Ed. Rizzoli, 2008