La forma più subdola di guerra è la militarizzazione dei nostri cuori, delle nostre menti, dei nostri territori. L’imbroglio securitario minaccia la nostra libertà e le nostre vite. Proposta di Celeste Grossi presentata all’assemblea di Firenze (28 aprile 2012) sul Manifesto per un soggetto politico nuovo.
{«El derecho de vivir en paz». [Victor Jara]}

L’Italia è un paese in guerra. Non si combatte sul nostro territorio, ma il meccanismo della guerra è in atto in molte forme che vanno oltre la partecipazione a conflitti armati − condotti da militari di professione e spacciati per missioni di pace.
_ Ai pesanti tagli negli investimenti sociali corrispondono inutili e immorali aumenti delle spese militari.

Il solo acquisto dei caccia bombardieri F35, nell’ambito del programma Joint Strike Fighter, ci costerà almeno 15 miliardi di euro (con un solo aereo in meno si potrebbero costruire 7.500 asili nido). Crescono nel bilancio dello stato le spese per la “difesa”.
_ Svelare l’intreccio tra imprese, banche e forze armate è il primo passo per rompere il perverso meccanismo della guerra e della macchina mediatica che lo sostiene.

Ma la forma più subdola di guerra è la militarizzazione dei nostri cuori, delle nostre menti, dei nostri territori. L’imbroglio securitario minaccia la nostra libertà e le nostre vite.

Vogliamo spezzare il binomio paura/sicurezza attraverso cui si negano libertà e spazi di democrazia. Nelle nostre città, nei quartieri e nelle strade che abitiamo, vogliamo accanto a noi nuovi cittadine e cittadini liberi dall’ombra della clandestinità, dallo sfruttamento del lavoro nero, dai circuiti della criminalità. Non donne e uomini spaventati, lontani da casa, tra estranei che non capiscono la loro lingua, che non affittano loro una casa, che non li assumono in regola.

La sicurezza basata sul controllo e sulla militarizzazione del territorio non ci rassicura. Sicurezza per noi è vivere in comunità accoglienti perché fondate su rispetto, ascolto e riconoscimento reciproci.

La xenofobia, il razzismo, la dinamica di esclusione dell’altro e del diverso portano alla costruzione del nemico, a politiche di apartheid.
L’Italia è già multietnica noi vogliamo che diventi multiculturale. Vogliamo che lo spazio pubblico sia abitato da laiche identità capaci di convivere, senza che nessuna, nessuno, debba rinunciare alle proprie memorie culturali, ma con momenti forti di “infedeltà” alla propria appartenenza.

Ricominciamo a inventare il mondo che vogliamo.

Praticare la cultura della pace significa restituire la politica alle relazioni sociali, all’incontro, al riconoscimento della diversità, a modalità di conflitto non distruttivo.
Significa attuare l’articolo 11 della Costituzione italiana − che nell’intento di padri e madri costituenti metteva la guerra fuori dalla storia della Repubblica −. Un articolo che è stato più volte disatteso (alcune con il voto parlamentare, molte altre senza che il Parlamento si esprimesse).

Così l’Italia ha fatto la guerra anche se ancora oggi dice di ripudiarla. Un articolo che ora nel silenzio e nella disinformazione si vorrebbe modificare.
_ Una sciagurata ipotesi da contrastare. Perché l’Italia deve continuare a ripudiare la guerra che devasta vite, ambiente democrazia, diritti.