Questa lettera di Marzia Monciatti avrebbe meritato la prima pagina di Repubblica: risponde a quel cittadino romano, di sinistra, che aveva espresso ad Augias il timore di diventare razzista per i diffusi fenomeni di ordinaria illegalità, connessi (secondo lui) alla presenza di migranti nelle nostre città. Augias, almeno per ora, non l’ha pubblicata. Lo facciamo noiGentile Corrado Augias, sto seguendo su {La Repubblica} il dibattito aperto dalla lettera del cittadino romano che lancia il suo personale grido d’allarme rispetto al suo modo di sentire e, so, non solo al suo, la questione di sicurezza e legalità legate all’immigrazione che non è più un “fenomeno”, ma un fatto.
_ Anch’io voglio presentarmi: sono una signora di mezz’età (mi si permetterà questo vezzo di non dichiarare esplicitamente la mia età visto che da qualche anno cerco di far passare inosservati i miei compleanni), sono laureata, faccio buone letture, leggo diversi quotidiani e riviste e, ogni giorno, anch’io, faccio il mio slalom quotidiano fra le trasmissioni televisive per non deprimermi con la tanta, troppa tv spazzatura che, nonostante tutti ne parlino come di un problema, a me pare aumentata. Fra l’altro, e non lo affermo certo per {captatio benevolentiae}, quando sono a casa non mi perdo mai, sul tre, la sua trasmissione all’ora di pranzo.

Dopo questa sommaria presentazione vorrei , come si dice, entrare in argomento e lo faccio senza molte perifrasi: io credo che il cittadino romano faccia proprio bene a porsi dubbi e ad interrogarsi sulla sua percezione dell’ immigrazione nelle nostre città: che si interroghi e che senta il bisogno di esprimere pubblicamente i suoi sentimenti è indice di buona salute mentale. _ Tuttavia vorrei, sinceramente, dirgli che la deriva che sta imboccando può diventare senza ritorno; insomma il fatto è che può correre il rischio di entrare a far parte di quella larga schiera di persone che, normalmente, ha studiato poco e male, che legge poco e male, che si appassiona ai programmi più sordidi che la tv pubblica e privata ci propinano e che di solito, con non poca prosopopea, inizia i suoi discorsi così: ‘Mi creda, io non sono razzista, però…’, e giù una valanga di luoghi comuni, di aneddoti imparati da qualche amico che è andato a fare, o almeno glielo hanno fatto credere, un safari in Africa o il viaggio di nozze in luoghi esotici.
_ Evidentemente il cittadino romano è molto distante da questi personaggi, ma mi permetto comunque di metterlo in guardia per il suo bene. Come si fa, mi chiedo, ad essere di sinistra e a diventare razzisti? Le due cose non vanno di pari passo: {{se arriva il razzismo, scompare inevitabilmente l’essere di sinistra}}. E quando dico sinistra non mi riferisco ad appartenenze partitiche, ma ad una cosa più grande ed importante che è la consapevolezza di far parte di un’unica ‘razza’: quella umana, di sentirsi cittadini del mondo e di sapere che il mondo, appunto, come disse un vecchio con la barba, non possiamo limitarci ad interpretarlo, ma sforzarci di cambiarlo per raggiungere quella giustizia sociale che proprio ad iniziare dalle tante persone immigrate nel nostro paese, a me pare di non vedere, neppure all’orizzonte.

Per quanto riguarda i fatti descritti dal cittadino di Roma, è evidente che sono comuni a molte città, ma mi chiedo due cose: prendendo la metropolitana o l’autobus il signore si è mai soffermato ad osservare certi atteggiamenti verso gli anziani, le donne, le compagne di scuola, di {{tanti giovani autoctoni}}? Vede, proprio qualche giorno fa mi è capitato di dare dei cretini ed ignoranti a dei ragazzotti che tornavano da scuola e ripetutamente si rivolgevano alle loro compagne di classe chiamandole ‘mignotte’. Confesso che non mi sono fermata lì e ho proseguito redarguendo anche le ragazzine che permettevano a quegli idioti di trattarle così. Ha mai notato quante svastiche ci sono sui muri, ma anche sui diari di tanti ragazzi e la domenica, se va allo stadio, si sente più sicuro di quando consuma il suo pranzo a Fontana di Trevi?

A differenza del signore di Roma, la mia casa è stata violata da ladri, di notte, mentre la mia famiglia ed io dormivamo; la tecnica, mi dissero i Carabinieri ai quali denunciai il furto, faceva pensare, senza ombra di dubbio, a bande dell’Est Europeo. Non avevo ricchezze, ma ricordi sì e, quelli, mi sono stati portati via insieme alle cose rubate. Ci sono stata male; sono riuscita a consolarmi pensando che il sonno aveva risparmiato, soprattutto a mio figlio, molto piccolo all’epoca, un’esperienza traumatica.
_ Tuttavia mi sono sentita violata anche quando, qualche sera fa, una banda di giovani fascisti si è accanita con lancio di uova contro il mio balcone, l’unico della strada dove ancora resiste la bandiera della Pace. Erano italianissimi e in numero spropositato per l’azione che hanno compiuto, vigliaccata della quale devono essersi sentiti molto fieri.

E allora, {{è proprio il caso di guardare il mondo con la lente dell’appartenenza etnica?}} o non è forse il caso di non perdere mai di vista la sua intierezza mantenendo viva la forza di indignarci e rimboccarci le maniche per tutte le brutture di questa società incattivita e deprivata di futuro e di speranza?

Per motivi di lavoro mi capita spesso di prendere il primo autobus del mattino: è un’esperienza interessante che consiglierei di fare a tutti, almeno una volta; quasi sempre, su quell’autobus, sono l’unica indigena, perchè si riempie di persone provenienti da altre parti del mondo fra le quali tante donne che non vanno certo a prostituirsi, a rubare, a trattare male i vecchietti; vanno, invece, nei nostri cantieri, nelle nostre fabbriche, a pulire i nostri uffici, nelle nostre case ad occuparsi dei nostri panni sporchi, della nostra polvere e anche dei nostri bambini e di tanti, ma proprio tanti vecchietti, di quelli ai quali, diciamolo, ci fa un po’ schifo cambiare il pannolone ormai necessario per problemi di incontinenza, quelli che non ci curiamo più neppure di lavare e rendere presentabili, quelli che hanno bisogno di vedere il sole anche se devono uscire sulla sedia a rotelle.

Non è che saremo diventati un po’ tutti troppo impegnati ad arrabbiarci per le parolacce di qualche giovane straniero e rischiamo di scivolare verso {{una sorta di analfabetismo sentimentale?}}
_ Rischiavo di dimenticare {{i cosiddetti zingarelli}} che scocciano perché chiedono l’elemosina e talvolta cercano anche di rubarci il portafoglio nelle ore in cui i nostri figli si alzano da un letto in una confortevole cameretta, fanno colazione e si caricano i loro belli zaini griffati sulle spalle per andare a scuola dove, poi, alcuni di loro, italianissimi e normalmente rampolli di famiglie benestanti, passano il tempo a esercitarsi in ripetute violenze e soprusi verso i più fragili ed indifesi: li chiamano ‘bulli’; sbaglio o qualche mese fa era un’emergenza tanto che il fior fiore di psicologi, studiosi e governanti si stavano dando un gran da fare su questo che viene chiamato ‘fenomeno’ mentre gli ‘zingarelli’ sono delinquenti!
_ Mi chiedo se non è mai venuto in mente a nessuno che se si vive come le bestie, in cucce fatte di plastica e di bandoni di amianto, per terra, forse non ci si può aspettare che queste persone (perché credo che nessuno possa mettere in dubbio che di persone si tratta) si comportino secondo le regole auree di qualche manuale di {bon ton}.

{{Dimenticavo le ‘meretrici’.}} Espelliamole, dice qualcuno. E perché mai, domando, dovremmo tenerci quelle nostrane che ci affliggono tutti i giorni dagli schermi televisivi, dalle pagine dei giornali, povere vittime, con le loro tettone, i loro immensi glutei in bella mostra, incapaci di articolare un discorso, anche breve, di cantare, di ballare, insomma di fare qualsiasi cosa che non sia darsi al primo vecchio potente e miliardario che le manda in televisione come se fossero modelli da imitare?

{{A proposito di legalità e sicurezza}} è evidente che sono valori e questioni importanti; lo sono davvero e risultano credibili se l’attenersi a regole, doveri e rispetto delle persone e delle cose vale, in egual misura, per tutti, in modo universale. Ma è altrettanto chiaro che {{se le condizioni di partenza sono e permangono diverse, ci sarà sempre chi partirà avvantaggiato}} e, come spesso succede, troverà anche il modo di aggirare ‘legalmente’ le più elementari norme di legalità, ad alto livello, procurandosi avvocati di grido, nascondendo tesoroni in qualche isola sperduta negli oceani, occupando posti in parlamento pur essendo un delinquentone e conducendo una vita apparentemente rispettabile pur facendo parte consapevolmente di quel giro ormai ampiamente globalizzato di grossi mascalzoni che portano, con la tratta, quelle donne a prostituirsi, quei giovani a spacciare droga, quei ladri a rubare, quei venditori a vendere per le strade prodotti contraffatti che altro non sono che il frutto della diversificazione dell’industria delle mafie internazionali per le quali confini e frontiere si sono dissolte ormai da tempo.

{{E allora? Che fare?}} Certo: perseguire tutti i colpevoli di reati, grandi e piccoli, ma anche investire in risorse umane ed economiche, in coesione sociale. in convivenza, in istruzione, in lavoro dove non si muoia più, in formazione, in quella che oggi, dalle pagine di Repubblica, Renzo Guolo chiama la grande responsabilità della Sinistra se non vuole deludere e perdere il coraggioso cittadino romano e se vuole che la miseria ( che oggi non si connota più e soltanto come fatto meramente economico)non assuma sempre di più il volto di una competizione fra poveri generando paure, derive pericolose di razzismo, di diffusa illegalità,di tutte quelle cose, insomma, che non hanno mai fatto bene ad una reale e partecipata democrazia.

Sono convinta che questa mia lettera non troverà mai posto in qualche pagina del giornale. Conosco un po’ i meccanismi della carta stampata. Tuttavia avevo voglia di dirle queste cose e tante altre ancora che ho in testa. Anche questo è un modo per partecipare ad una discussione importante e complessa. Aggiungo solo che parlo con qualche cognizione di causa perché {{ho ricoperto l’incarico di assessora all’immigrazione nel Comune di Firenze}} dal 2000 al 2005. Per me, che ho avuto questo privilegio, è stata un’esperienza grandiosa nella quale sono entrata un po’ come ‘la maestrina dalla penna rossa’ e dalla quale sono uscita profondamente cambiata, liberata da triti luoghi comuni e da ogni ombra di pregiudizio. Mantengo ancora adesso vere e proprie amicizie con cittadini e cittadine straniere; mi si consenta anche di dire, senza presunzione, che in tanti hanno sentito che ho messo tutta me stessa in quell’esperienza e mi hanno ricambiato con stima, affetto che non sono mai riuscita a percepire in modo così sincero da tutto l’ambiente politico del quale ho fatto parte.
_ La ringrazio per l’attenzione che riuscirà a dare a questa mia debordante lettera. Se, poi, non vi riuscirà, le posso dire che a me ha fatto bene scrivere su questioni che ho sentito sulla mia pelle con un senso di responsabilità che talvolta mi schiacciava e dal quale mi hanno liberato, il più delle volte, con grande umanità e generosità, proprio i cosiddetti immigrati

{{Nota della redattrice}}

Marzia Monciatti è stata protagonista di una vicenda politica su cui le nostre lettrici hanno avuto qualche informazione: dopo l’esperienza di assessora all’immigrazione, ha ricoperto la carica di assessora alla formazione e alle pari opportunità nella Giunta provinciale di Firenze, da cui è stata estromessa dal Presidente con un gesto autoritario e politicamente immotivato.
_ Una mobilitazione di cittadine e cittadini, fra cui molti/e migranti, non è stata sufficiente contro le logiche del palazzo e di chi lo occupa. Marzia è quindi tornata al suo lavoro nelle ferrovie e la si può incontrare alla biglietteria della Stazione centrale affrontare con un sorriso e molta disponibilità coloro che secondo lei sono persone prima che ‘clienti’. (A.P.)