Il 21 marzo del 1992, primo giorno di primavera, in Corso Italia a Roma, in una grande sala, un teatro un po’ scarno, sedie di legno, illuminazione triste, di proprietà della parrocchia di Santa Teresa, va in scena – organizzato dal Centro Culturale Virginia Woolf-Gruppo B – uno storico incontro tra tre donne che, a modo loro, hanno illuminato la vita di tante delle cinquecento donne lì presenti: Alessandra Bocchetti, Rossana Rossanda e Christa Wolf.

Ciascuna delle presenti ha amato moltissimo in particolare Rossana Rossanda, per come polemizzava e rimproverava il movimento delle donne e alcune femministe con cui, comunque, non smetteva di dialogare. Chi non ricorda quel suo sguardo intristito, ma mai rassegnato, e quella sua voce esile con cui ci invitava ad amare e a lottare? Ma molte altre erano lì solo per ascoltare la parola di Christa Wolf, nota scrittrice contemporanea di lingua tedesca, lì presente grazie a una brillante traduttrice napoletana, Anita Raja.

Il tema dell’incontro poteva apparire bizzarro: “Se la felicità…Per una critica al capitalismo a partire dall’essere donna”, e il resoconto di quell’incontro è stato pubblicato “in piena pandemia”, da VandA Edizioni, nel dicembre del 2020.

Si sa che bizzarro non vuole dire affatto stravagante o, peggio, folle. Tutt’altro: una sorta di ronzio, una puntura di zanzara che di colpo ci fa sobbalzare, risvegliandoci dal torpore e rendendoci, appunto, a nostra volta bizzarre. Si tratta proprio di quello che Alessandra Bocchetti aveva in mente di fare da tempo: una bizzarria. E l’occasione si presentò con l’uscita del libro di Christa Wolf “Trama d’infanzia”, Edizioni EO; con Rossana Rossanda che era invece “di casa”al Centro Virginia Woolf, con i suoi seminari e incontri sempre affollatissimi (e come poteva essere diversamente, essendo stata la politica delle donne, il pensiero e la storia del movimento femminile e femminista, sempre centrale nelle sue riflessioni e nei suoi articoli?).

Alessandra ebbe dunque il merito di proporre il tema e di osare. Propose a Rossanda e a Wolf, all’epoca la scrittrice più letta e amata dalle donne e dalle femministe italiane, l’evento. Il resto venne da sé.

D’altronde la parola felicità, declinata come la felicità dell’indipendenza, l’avevamo già trovata nel 1989 nel numero di “Sottosopra oro” (periodico femminista) “Un filo di felicità”, che in un passaggio affermava: “Fra le conseguenze sensibili e osservabili dobbiamo mettere anche la vena di felicità che corre fra le donne. Non è riducibile ai progressi materiali ma non li esclude, non è interpretabile come qualcosa di puramente spirituale ma gli somiglia. La felicità ci viene dal senso che hanno preso le nostre vite per sé stesse, senza più imprigionamento in sé stesse. È un senso praticabile, anzi necessariamente pratico ma con un sentimento meraviglioso di libertà anche in mezzo agli impedimenti e alle smentite che ogni pratica della vita comporta” (Gennaio 1989 – Libreria delle Donne di Milano).

Ritornando al ricordo di quel 21 marzo, non posso non pensare a quanto sia “piccola, ordinaria e semplice” la felicità; una condizione che richiede solo occhi buoni per vederla, e animo leggero per provarla. La felicità come gioia di vivere, voglia di cambiare, di essere vivi e dunque fertili, di veder sbocciare i fiori che siamo.

È importante sottolineare quello che, a tal proposito, disse Wolf, dopo aver ascoltato Alessandra Bocchetti: “Credo di dovervi deludere[….], io non mi ritengo una donna libera o la donna libera che Alessandra vedrebbe in me volentieri; […] mi conosco fin troppo bene e so anche quante dipendenze devo constatare dentro di me”. E Rossanda, di rimando, dicendosi d’accordo con la preoccupazione della Wolf, sostenne a sua volta che: “La prima cosa di cui noi donne ci dobbiamo liberare […] sono le molte dipendenze che continuamente sperimentiamo nella vita […] e sono d’accordo con lei pure quando mette in guardia dalla carica di proiezioni che si gettano su una donna che è riuscita più di altre. Un tempo si trattava di proiezioni negative: oggi si rischia di dare proiezioni troppo positive che ristabiliscono una forma differente di dipendenza.” E, continuando: “Badate, io sono una prepotente che fa nella sua vita quello che vuole. Ciò non toglie che dentro di me delle dipendenze ci siano state.”

Se la felicità…Per una critica al capitalismo a partire dall’essere donna, VandAedizioni