E’ un mare piuttosto mosso, quello sanremese, dove chi pesca, lancia ami in ogni dove per far confondere le lucciole con le lanterne e far passare gli scorfani per conchiglie perlifere.

Sarà, questa, la solita pratica dell’arrampicarsi sugli … specchietti … per le allodole …?

Il livello di chi in conferenza stampa ha inanellato una gaffe dietro l’altra, è tale che, per realizzare l’inversione di tendenza richiesta dal Presidente Rai Marcello Foa (riportare il Festival “nella giusta dimensione”), ci si può rivolgere giusto a Santa Rita.

Identico percorso miracoloso sarebbe utile anche per perorare la causa delle “bellissime”, silenziate, e ancor silenti…

A proposito di femminicidi, si sa, ci sono tanti modi per uccidere (fisicamente e non) le donne: uno è quello di ridurle al silenzio, di renderle semplici corpi. Corpi belli, bellissimi, certo, come più volte cantilenato in conferenza stampa dal “titolare” unico della stessa….

E a proposito di femminicidi – nel 2019 circa un centinaio in dieci mesi! – a Sanremo il nodo gordiano è sicuramente costituto dalla presenza del rapper mascherato i cui testi inneggiano a ogni forma di violenza contro le donne, fino allo stupro e al femminicidio.

Il de quo, dopo una settimana di meditazione per le critiche provenienti da ogni dove, ha comunicato che “il rap ha un linguaggio descrittivo nel bene e nel male e rappresenta la cruda realtà come fosse un film”, che lui è affezionato alla sua mamma, e anche alla sua fidanzata, che è profondamente dispiaciuto”…. e che non era sua “intenzione ferire qualcuno”.   

Sembra legittimo chiedersi che testi avrebbe scritto se avesse voluto ferire qualcuno!

E sembra legittimo, anche, chiedersi come sia possibile che siffatto personaggio trovi spazio nella televisione di Stato.

La televisione produce modelli. E la Rai è servizio pubblico, lautamente pagato da cittadini e cittadine. Chi lavora nella televisione pubblica deve operare con la massima professionalità e con ampia competenza culturale, stando ben attento a quali messaggi può veicolare.   

Già Ennio Flaiano aveva preannunciato che nel giro di un ventennio gli italiani sarebbero diventati come la televisione li avrebbe forgiati … il “come” è sotto i nostri occhi. Che altri input socio-culturali la televisione di Stato intende dare, ospitando tale personaggio?

Come si sa, i rapper sono molto apprezzati dagli adolescenti, che hanno una psicologia fragile perché ancora poco strutturata.

E si sa, anche, che l’effetto imitativo è tipico della giovane età, periodo in cui si va alla ricerca di idoli con cui identificarsi, di modelli da introiettare e da imitare, fino alle estreme conseguenze: fenomeno riferibile al cosiddetto “effetto Werther“, analizzato dal sociologo David Phillips. Questi ha rilevato come determinate notizie pubblicate dai mass media, un suicidio nel caso oggetto di studio, provochino nella società una catena di casi analoghi. L’effetto imitativo è imputabile al coinvolgimento psichico in livelli di emotività molto elevata, come può accadere oggi per gli adolescenti, con le canzoni di un loro idolo canoro (ancor più che con la lettura di una notizia o di un libro, come accaduto, a proposito dell’effetto Werther, in epoca anteriore a questa).

Chi fa televisione da professionista, e con sguardo ampio, queste cose deve saperle e deve tenerle in debito conto.

Nella televisione pubblica, non si può ragionare soltanto in termini di ricerca dell’audience. C’è chi sostiene, invece, che la “logica” che avrebbe indotto a coinvolgere il rapper dai testi raccapriccianti, è proprio quella degli ascolti: se sul web le visualizzazioni dei video (v. “Strega”) sono così tante, vuol dire che il rapper ha grande popolarità tra i giovani del web, dunque, innalzandolo alla gloria festivaliera, il riscontro in termini di audience da parte del pubblico dei social sarà sicuramente garantito…

Ma non viene il dubbio che certi testi (sono rinvenibili sul web; qui non vengono riportati per rispetto della sensibilità, e dello stomaco, di chi legge) possano rappresentare una forte istigazione alla violenza?

Il rapper, invece di autogiustificarsi, dovrebbe porsi il problema, che è molto serio, da qualsivoglia prospettiva lo si guardi.

Intanto, Loredana Bertè ha chiesto ai giornalisti della Sala Stampa dell’Ariston di «escludere, a priori, una possibile candidatura al “Premio della critica Mia Martini” di qualsiasi artista che promuova attraverso i suoi testi violenza fisica o verbale verso le donne o misoginia in generale». Analogo punto di vista è stato espresso da Carmen Di Domenico, moglie del grande artista Sergio Bardotti la quale ha chiesto agli organizzatori del Festival di eliminare, quest’anno, il Premio intitolato al marito: non intende che il nome di Sergio Bardotti venga associato a personaggi negativi.

Dal canto suo, il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Alberto Barachini, ha inviato una lettera ai vertici di Viale Mazzini, in cui scrive “ il servizio pubblico radiotelevisivo è tenuto in ogni occasione a veicolare la cultura del rispetto dei diritti e della dignità della persona, della legalità e del contrasto ad ogni forma di violenza. Il Festival di Sanremo costituisce indubbiamente l’evento Rai più importante della stagione televisiva, sia in termini di ascolti che di risonanza mediatica. Non è pertanto accettabile che nel corso di tale evento vengano diffusi messaggi lesivi dei diritti e della dignità della persona, o inquadrabili nel fenomeno dell’hate speech“.

Che la canzone festivaliera del rapper sia diversa da “Strega” e testi affini, poco importa. Lui ormai rappresenta un simbolo, purtroppo negativo.

La “banalità del male” che muove ogni tipo di violenza è ben nota, e fin troppo frequente. Non è il caso di alimentarla, meno che mai su un canale Rai. Chiedere questo, non è censura, è Civiltà. Anche giuridica.