Ventisei ragazze sono morte annegate dopo un lungo viaggio. Come dicono le autopsie, un viaggio compiuto sotto la cappa della violenza maschile: che se non è sempre stupro, per la concezione corrente, è tormento e tortura per affermare la supremazia degli uomini sulle donne anche tra diseredati.

Queste ventisei donne sono testimoni del fatto che la solidarietà umana, dovunque, si ferma davanti alla libertà femminile.

Non sappiamo e non sapremo mai quali motivi, quali tragedie speranze o ricatti possano aver spinto quelle donne, in particolare, a intraprendere un viaggio che la comunità internazionale ha reso potenzialmente mortale. Non sappiamo cosa volessero o da cosa precisamente fuggissero ma sappiamo che, probabilmente, il trattamento subito e previsto ha provocato una loro reazione, reazione che a tutte le latitudini è considerata un affronto, da reprimere fino alla morte. Le donne che cercano e pretendono libertà, in condizioni estreme o no, vengono punite e uccise.

Quello dei migranti è un dramma, il che viene retoricamente ripetuto da decenni: decenni nei quali le donne hanno affermato il loro diritto inalienabile a non subire violenza, il diritto di lottare contro la gerarchia maschile che, col pretesto della protezione, annulla la libertà e uccide. Il femminismo in Italia si è per molta parte identificato con questa lotta, che è internazionalista e afferma prima di tutto il diritto alla fuga dal pericolo rappresentato da un uomo violento. Per questo scopo si sono raggiunti compromessi, si sono strette alleanze tra differenti. Ora sono qui donne differenti e le loro ferite non possono essere confuse con altre inferte ad altri per altri motivi.

Bisogna allora chiedere a tutte, difronte all’esito catastrofico (e catastrofico lo sarebbe anche solo per l’accoltellamento di una donna richiedente asilo che non si vuole prostituire, a Faenza il 28 ottobre), della visione indistinta sui “migranti e sull’accoglienza”, se la disperazione possa giustificare la sospensione dei diritti che per noi stesse reclamiamo.

Alle condizioni di oggi, quelle ventisei donne non avrebbero trovato nessuna interposizione tra loro e gli uomini violenti.  Infatti nell’accoglienza prevista, ma anche in quella richiesta, non sono predisposti interventi per la salvaguardia femminile, sotto la spinta dell’incombente ideologia che vuole le donne affidate ai “loro” uomini.

È così che va e che deve andare, perché per secoli è andata così e questo si aspetta chi nel colore di una donna individua una categoria “d’uso”.  Così dovrebbe andare in famiglia, anche per chi per puro caso è nata qui: gli uomini, con la violenza, si assumono il compito di mantenere la destinazione d’uso delle donne.

Nelle nostre famiglie abbiamo cominciato a dire basta alle violenze e il femminismo ha svelato e dichiarato l’inaccettabilità delle reprimende religiose difronte all’autodeterminazione femminile. La libertà ci ha permesso di superare anche le soglie dei conventi e rivelare lo sfruttamento sessuale di donne e bambini nascosto dalle procedure canoniche e dalla finta carità.  Noi che abbiamo fatto e stiamo facendo questo, non possiamo agire diversamente di fronte a donne che vogliono venire qui per essere davvero libere. Dobbiamo sapere che accoglierle significa difenderle quando varcano la soglia di un centro di prima accoglienza, di una casa, di una chiesa, di una moschea, di un bordello, anche svelando cosa lì succede.

Se di fronte al razzismo tutto sembra complicarsi, abbiamo tutto il sapere necessario per comprendere che questo non è mai stato archiviato e che la paura verso l’estraneo non è che lo schermo per giustificare nuove gerarchie schiavistiche. Lo schiavismo e la schiavitù delle donne sono già qui da tempo, per questo   che dobbiamo interporci dicendo le nostre parole differenti, radicalmente differenti.

Nelle parole di chi si adopera ad accogliere viene cambiato solo l’articolo davanti a una parola: “migranti”. Confusione linguistica che precede altra, utile per tanti, confusione che confonde i generi per intenderne solo uno. È il presunto naturale effetto dell’emergenza.  È nella continua emergenza che queste donne cambiano padrone e scompaiono. È nell’emergenza che ci vuole coraggio a dire quello che nessuno dice: che gli uomini di tutti i colori e di tutte le religioni smettono di litigare quando si tratta “di tenere le donne al loro posto”.

Tutte le parole spese per comprimere in uno standard unico i diritti delle donne e quelli degli uomini, hanno finito per confondere anche molte donne, che si sono convinte che basti combattere dalla parte dei giusti per liberare anche le donne. La storia recente e remota sembra essere passata senza lasciare insegnamenti sugli esiti concreti che le grandi rivoluzioni, guidate dagli uomini, hanno avuto sulla condizione femminile. O meglio la lettura neutra di quella storia ha generato illusioni e nascosto agli occhi dei più che la violenza contro le donne, non nella quantità ma nelle forme in cui si esprime oggi, è la risposta diffusa, controrivoluzionaria, al sovvertimento dell’ordine ideale voluto dalle donne nell’ultimo scorcio del novecento. La riapertura dei bordelli, la gestazione a pagamento vengono presentate nel quadro controrivoluzionario come sbocchi di una libertà femminile, ma in realtà sono l’ultima sfida del patriarcato per rinnovare formalmente l’arbitrio sulla fertilità e sulla sessualità delle donne e per fermare il loro percorso verso la conquista della libertà.

Le donne che hanno stretto alleanze con forze o movimenti considerati giusti, solo perché ribelli, hanno abbandonato con parole e gesti la comunanza d’intenti con le altre che, invece, continuano a pensare che quelle ventisei ragazze non sono state uccise da mandanti colpevoli e assassini innocenti mandati. Sono state invece uccise da uomini complici di altri uomini, tutti disposti ad annichilire e cancellare le donne disobbedienti. Oggi come sempre, nel passato dove tutti erano più poveri e sudditi, le donne vengono uccise e torturate dal mandatario più vicino: perché se per ridurre a merce le ragazze indomite ci vuole chi vende e chi compra, chi vende è il più prossimo. Le attenuanti e le scuse sono cose da giudici, quelli che fuori dal nostro controllo spesso fregano le donne.

L’Udi di Napoli, e io, venerdì saremo a Salerno ai funerali delle ultime vittime di una strage antica che si rinnova in modo sempre più feroce perché ne vengono mistificate le ragioni, con un nuovo conformismo.    Napoli, 15/11/17