La notizia apparsa sui giornali dello scorso 27 aprile sul feto di ventidue settimane sopravvissuto ad un’ interruzione di gravidanza http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2010/04/27/visualizza_new.html_1767071760.html praticata nell’ospedale di Rossano (CS), per una malformazione, al di là delle eventuali negligenze da parte del personale medico che avrebbe dovuto accertarsi del decesso subito dopo l’interruzione di gravidanza, riapre il dibattito sull’applicazione della legge 194.Le dichiarazioni del sottosegretario alla Salute che ha fortemente stigmatizzato quello che ragionevolmente è da considerare come una tragica fatalità rappresentano l’ennesima occasione persa da parte della politica di tacere per non strumentalizzare episodi così dolorosi.

L’intento è chiaro e il gioco è ormai scoperto: l’istituzione di commissioni d’inchiesta e l’intenzione di voler procedere alla “compilazione di linee guida di concerto con le regioni” mirano a stravolgere una ottima legge che non presenta sbavature di sorta e che anche in questi casi prevede modalità di assistenza compassionevole in linea con i più recenti documenti delle società scientifiche di neonatologia per i nati prematuri.

Per le donne facile, o per lo meno, decente, sarebbe trovare un ginecologo non obiettore, riuscire a fare tutti gli esami in tempo (ricordiamo che l’aborto è possibile solo entro i primi 3 mesi dal concepimento), evitare di dover anche far passare la cattolicissima settimana di riflessione, presentarsi infine in ospedale nell’unico e solo giorno dedicato alle ivg e farsi operare, in anestesia totale; in tutto il resto d’Europa, da anni, viene somministrata, in modo controllato e rigoroso, certo non a casa con un bicchiere d’acqua, la RU486.
_ Ma, con la pillola l’aborto è più facile.

Il ricovero rende più penoso, arduo e incomprensibilmente complicato un momento di per sé, spesso, davvero difficile: ancor oggi, in regime di Day Hospital, molte donne raccontano della difficoltà di giustificare quella assenza al lavoro; per esempio, e non solo, proviamo a pensare a che cosa potrebbe voler dire (poniamola come ipotesi, ma ricordiamo che il ricovero è comunque obbligatorio) doversi assentare per più giorni o trovarsi nella necessità di dover dare spiegazioni anche semplicemente per poter contare su un aiuto concreto per organizzare la propria lontananza, dall’ufficio o dalla famiglia. Davvero un percorso a ostacoli.

Veramente sul nostro corpo non ci è dato decidere autonomamente, anzi, a quanto pare non è prevista né ripugnanza né vergogna, perché divenuti abitudini di potere, per l’ abuso, lo scambio di corpi di donne con lo scopo di vendere, comprare; ma è a noi, a noi donne, che si chiede di provar vergogna, perché abortire è una colpa, e come tale la colpevole va prima ostacolata in tutti i modi, poi trattenuta…

L’ospedale diventa carcere perché, come affermato recentemente dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, all’apertura dei lavori del Consiglio episcopale permanente, il cosiddetto parlamentino dei vescovi italiani, l’aborto è un crimine.

Secondo Bagnasco, e citiamo le sue dichiarazioni, sottrarre beni pubblici è uno scandalo, gli abusi sui bambini, anche se commessi da preti, sono da imputare all’edonismo culturale dei nostri tempi, la crisi economica costituisce una sofferenza acuta,
_ Ma l’aborto è un delitto incommensurabile.

Davvero interrompere una gravidanza oggi in Italia è sempre più difficile, basti pensare ai dati sull’obiezione di coscienza o alla situazione dei consultori.
Non ci stupisce la posizione della Chiesa così come quella annunciata dal Governo che, approfittando del tragico episodio ( ennesimo caso di mala sanità? ), rilanciano l’attacco alla legge 194.

Da una parte la Chiesa, ipocritamente custode della vita a difesa di quei valori oggi mortificati e calpestati dagli scandali sulla pedofilia considera l’aborto moralmente un crimine, dall’altra il Governo un affare economicamente lucroso, non più garantito dalla sanità pubblica, non più ascrivibile alla sfera dei diritti, non più scelto liberamente e praticabile da tutte, ma un evento di cui vergognarsi, ostacolato il più possibile, punitivo nei modi e nei tempi, limitato e ridotto per quanto riguarda risorse, competenze, professionalità e strutture.

Cucchiai e prezzemolo non sono scomparsi, come pure i ginecologi obiettori in ospedale e abortisti a pagamento in studio: le donne, soprattutto le più deboli e ricattabili, le migranti, di aborto clandestino continuano a rischiare, se non a morire…è necessario, pensiamo, continuare a denunciare, discutere, continuare a seguire quanto accade.