Non sempre capita che la presentazione di un libro stimoli nel pubblico e negli stessi invitati il desiderio di continuare il discorso, di ampliare e di approfondire gli argomenti, così com’è accaduto sabato 17 giugno in occasione della presentazione del secondo volume[1], che l’Associazione di volontariato culturale Mica Aurea ha dedicato al complesso monumentale romano, Nuovi studi su San Cosimato e Trastevere (Graphofeel Edizioni, 2017), che raccoglie contributi di studi storici, architettonici, artistici e sociali, più indice dei nomi, dei luoghi e dei manoscritti.

In apertura Gaia Pernarella, portavoce della Commissione Cultura della Regione Lazio, ha voluto esprimere le congratulazioni per il lavoro di volontariato culturale svolto dall’Associazione Mica Aurea, nata per valorizzare e far riemergere nella memoria collettiva la bellezza e il valore storico del complesso monumentale trasteverino; Gemma Guerrini ha, quindi, letto i saluti del professor Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale, che nel suo messaggio ha voluto sottolineare il prezioso contributo del volontariato nel recupero della coscienza culturale del territorio.

La relatrice Annalisa Mancini, giornalista e storica, dopo aver espresso particolare apprezzamento per la ricchezza del volume è intervenuta sul contributo di Laura Biancini, Se un campiello veneziano si trasferisce a Trastevere, ricostruzione storico letteraria di un’originale esperimento del drammaturgo ottocentesco Luigi Randanini, che tradusse in romanesco il Campiello e I quattro rustenghi goldoniani. «É certamente credibile» nota Biancini, «che la realizzazione di queste singolari traduzioni nascesse sull’onda lunga delle istanze della Rivoluzione Francese e si inquadrasse in quel fondamentale impegno educativo del teatro per cui si cercava di far conoscere importanti opere drammaturgiche anche ad un pubblico popolare» (p. 145). Un estratto del Campiello trasteverino, esemplarmente recitato da Annalisa Mancini, ha suscitato tale entusiasmo da suggerire, in più interventi, l’idea di una fiction sulla vita trasteverina ottocentesca, di cui rimane silente memoria nelle pietre, nelle edicole sacre, nei vicoli più antichi di Trastevere.

Nel prendere a sua volta la parola, Luisa Chiumenti, giornalista e storica dell’architettura, ha esaminato i contributi di Cristiano Rotellini, San Cosimato: il giardino quale percorso simbolico e le raffigurazioni in esso comprese e di Paolo Carlotti, Ripensare Trastevere disegnando San Cosimato. Le pagine del primo rivelano inusuali sensibilità e sapienze, una lettura affascinante: «Il giardino, dischiuso dal protiro,  disvela uno spazio di densa sacralità non soccombendo a quanto, l’odierna sciattezza, si adopera a imprimere in questo aulico ambiente, che invece ancora si manifesta ai visitatori più attenti, proemio tangibile di quel, vivido, limitare da dove lo spazio del chiostro – hortus conclusus, dunque non accessibile agli occhi esterni – rammenta alle vigili tempie che l’umana condizione può approdare a un’intima spiritualità, materialmente sussurrata attraverso la disposizione di differenti elementi architettonici e naturali, che alludono alla conoscenza altra e alla vita eterna.» (p. 63)

Il testo attraversa i secoli e i suoi lasciti vegetali e artistici, sottolineato dalla relatrice nelle parti più innovative d’intuizione e lettura dei soggetti cristologici, mariani e biblici. Ampio spazio è dedicato agli interventi di Sisto IV includenti sia il portale marmoreo realizzato da Andrea Bregno che «la creazione di un altro chiostro e l’innalzamento di un nuovo campanile, né si trascurano quelli che conducono alla presenza, nel monastero, di una delle cinque sorelle del papa: Franchetta della Rovere, clarissa (morirà nel 1480)» (p. 73)

Il secondo contributo, quello di Paolo Carlotti, offre uno «spunto di riflessione per la comprensione del processo formativo del tessuto urbano romano del Trastevere. Propone una ricostruzione del processo formativo del  disegno urbano mettendo, allo stesso tempo, in evidenza quelle regole dei comportamenti antropici che sono state adottate nella costruzione della città e che possono, ancora oggi, suggerire tattiche e strategie per il progetto contemporaneo nella città storica.» (p. 117) La relatrice è anche intervenuta sull’illegittima cartolarizzazione dei beni demaniali aggravando politiche di depauperamento del patrimonio culturale umanistico, che nella scuola, ad esempio, sta producendo come effetto l’esclusione dell’insegnamento del Greco antico e della Storia dell’arte, tolta, quest’ultima, dagli Istituti del Turismo e minacciata in altri istituti superiori, quasi che si trattasse di materia estranea alla società e alla gente, impedendo in tal modo alle nuove generazioni la conoscenza della propria storia, il saper godere e trasmettere il portato italiano nella civiltà e nella bellezza.

A conclusione del suo intervento la Chiumenti ha ricordato come la tradizione del contesto storico e l’omogeneità del territorio in cui insiste e sopravvive nei secoli un monumento, vanno letti, interpretati e preservati nella loro autenticità, perché di quel monumento rappresentano l’humus vitale. Non sono, pertanto, sufficienti gli interventi di restauro e conservazione “materiale” del patrimonio, ma è necessario che l’esistenza dei beni che la storia ci ha consegnato raggiunga l’uomo comune e soprattutto risvegli gli interessi di quella parte della società più giovane, che la distanza generazionale rende indifferente.

Quest’ultimo argomento è stato sottolineato con profonda convinzione e cognizione di causa dall’intervento di Fulvia Strano, Museo di Roma, Palazzo Braschi, la quale ha ribadito che è necessario che venga trasmesso alle future generazioni il senso di appartenenza di questo patrimonio, è importante che lo sentano come proprio, come elemento costitutivo della propria realtà culturale e della propria identità, è necessario che i giovani si riapproprino attraverso questi beni del passato a cui appartengono, perché solo allora saranno portati ad apprezzarlo e proteggerlo. La Strano, che si occupa di mediazione culturale, «settore per vizio italiano considerato secondario», ha auspicato, tra l’altro, un cambiamento della legge Ronchei per quanto riguarda l’inserimento della didattica tra i servizi aggiuntivi (bar, guardianìa, ecc.), perché il demandarla sempre più al privato e limitarla a un’ottica in cui l’offerta deve corrispondere a una domanda la danneggia nel suo valore di bene pubblico.

Le sollecitazioni a riflettere politicamente e socialmente sulla conservazione e fruizione del nostro patrimonio storico artistico della Chiumenti e della Strano hanno trovato adeguata conferma nella lettura in chiave filologica, archivistica e letteraria che Alberto Bartola, docente presso l’Università “La Sapienza”, ha proposto dei contributi di Rita Cosma, I documenti del monastero dei SS. Cosma e Damiano conservati presso l’Archivio di Stato di Roma; Gemma Guerrini Ferri, Storia, contabilità e approvvigionamenti nel monastero di San Cosimato dalla cronaca manoscritta della badessa suor Orsola Formicini ms. BNC Roma, Varia 5, sec. XVI ex.-XVII in.); Joan Barclay Lloyd, Il protiro medievale a Roma; Maria Paola Fiorensoli, Le Clarisse umaniste dell’Osservanza.

Cogliendo lo spunto dall’intitolazione del venerabile monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea, Alberto Bartola ha evidenziato l’annosa e irrisolta querelle sull’origine del termine, ricordando che Mica, «con il significato di piccolo, di particella, si rintraccia già in testi longobardi, popolazione ritenuta a torto barbara, e specificatamente in un documento della metà del VIII secolo conservato in Svizzera.»; altra fonte antica nella quale il monastero di S. Cosimato in Mica Aurea è citato è il Pellegrinaggio di Sigerico, Arcivescovo di Canterbury (c. 950–994).

Bartola ha ricordato, inoltre, come gli elementi rappresentativi dell’esistenza e della vita sociale della città medievale la piazza, la chiesa, il palazzo comunale, cioè il popolo e i due poteri ecclesiastico e civile, abbiano caratterizzato la civiltà occidentale fino all’oggi; ha poi evidenziato la particolare armonia nei contributi del volume, traslata in quella, altrettanto inconsueta, di relatori e relatrici, quasi che l’unicità del luogo, la Sala capitolare, riassumesse  «l’unità di un sentire che appartiene al Dna del Trattato di Roma.»

Dei quattro contributi proposti da Bartola il primo, di Rita Cosma, tratta della conservazione di documenti archivistici sopravvissuti alle molte distruzioni, disastri non solo dovuti al tempo e alla natura, di cui «siamo debitori in larghissima misura a strutture identificabili quasi immancabilmente con enti monastici: proprio gli archivi dei monasteri infatti sono stati per lunghi secoli i sicuri contenitori, i forzieri della documentazione che attestava stato giuridico, situazione patrimoniale – fondamentalmente possedimenti fondiari – e modalità di gestione dei beni stessi. (…) Il Fondo del monastero SS. Cosma e Damiano è noto soprattutto per la presenza di un’importantissima collezione di 470 pergamene, denominata correntemente Benedettini e Clarisse in SS. Cosma e Damiano, ma è costituito anche da una parte moderna detta Corporazioni religiose femminili, Clarisse in SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea alias S. Cosimato >> (p. 11-12) Di questa raccolta esiste un primo fondamentale studio di Pietro Fedele, pubblicato alla fine del XIX secolo, che, nonostante l’aggiornamento curato nel 1980 da Paola Pavan[2], richiederebbe oggi un’ulteriore analisi dei documenti.

Le carte dell’archivio dell’antico monastero, che vanno dal X al XVIII secolo, «devono la loro conservazione, in primo luogo e in ordine di tempo, alla sensibilità di una monaca, suor Orsola Formicini, che intorno al 1600 fu per due volte badessa del monastero all’epoca già detto S. Cosimato. La Formicini, ancor prima di rivestirne la carica apicale, già si adoperava per la ricostruzione della storia dell’istituzione monastica e si era quindi dedicata al recupero dei materiali documentari trascurati e danneggiati, ormai al limite del totale abbandono.» (p. 13) Per questo, sottolinea Bartola, la cronaca di suor Orsola Formicini, di cui Gemma Guerrini sta curando con estrema puntualità lo studio preparatorio per l’edizione critica, riveste un ruolo di primaria importanza; in essa, infatti, oltre ai dettagli della vita quotidiana del monastero, cogliamo i germi del lento decadimento di un Ordine che solo un secolo prima aveva visto fiorire esempi significativi «della storia italiana della religiosità… al femminile».

Un terreno, quest’ultimo, esplorato sapientemente da Maria Paola Fiorensoli (giornalista pubblicista ed esperta in women’s studies), in merito ad alcune grandi personalità monastiche quattrocentesche, d’estrazione borghese e nobiliare, la cui ottima istruzione, finalizzata a promuoverle sul mercato matrimoniale, alimentò invece percorsi riformisti d’ispirazione minoritica; sostanziò il rapporto, di fede e di studio, con le consorelle e le novizie, nei loro monasteri dell’Osservanza; permise loro di riversare negli scritti in volgare (italiano) senza intermediari, l’ondata mistica, prevalentemente cristologica, che le pervadeva.»

Non in ultimo, l’approfondita analisi dei protiri medievali nell’Italia settentrionale e a Roma, tra i quali SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea, offerta da Joan Barclay Lloyd, mostra per accuratezza e ampiezza d’interpretazione dei dati architettonici, ornamentali e simbolici, quanto il libro in oggetto sia ricco di spunti e stimolo, esso stesso, per continuare ad approfondire l’argomento poiché la raccolta di scritti inediti di specialisti di vari settori, si dimostra un mezzo efficace e diretto di comunicazione.

Intendiamo perciò, come Associazione Mica Aurea, proseguire nell’alveo della ricerca e della divulgazione.

[1] La prima pubblicazione, “San Chosm’ e Damiano e ‘l suo bel monasterio…”: il complesso monumentale di San Cosimato ieri, oggi, domani, a cura di Gemma Guerrini Ferri e Joan Barclay Lloyd, uscì nel 2013 nel numero 1 di Quaderni di Testo e Senso

[2] P.Fedele, Carte del monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea. Parte I: Secoli X- XI, <<Archivio della Società Romana di storia patria>>, 21 (1898) p. 459-534 e 22 (1899) p. 25-107, 383-447; ristampa a cura di P.Pavan in Codice diplomatico di Roma e della regione romana, 1, Roma 1980.