All’Istituto Comprensivo Duilio Cambellotti è stata portata avanti una ricerca sui diritti negati come quello sulla cittadinanza. Essere cittadine e cittadini significa avere quella consapevolezza civica che garantisce la voglia di far prevalere il noi nel desiderio di partecipare alla costruzione del bene comune.  Ricordiamo che la nostra Costituzione si occupa specificatamente della cittadinanza  all’art. 22, stabilendo il principio per cui non si può essere privat* di essa, così come del nome e della capacità giuridica, per motivi politici. Questa disposizione serviva a cancellare i soprusi compiuti dal fascismo, che non solo aveva privato della cittadinanza italiana tutt* gli e le antifascist* in esilio (l. n. 108/1926), ma aveva altresì stabilito (R.d.l. n. 1728/1938) delle gravi limitazioni alla cittadinanza e alla capacità giuridica nei confronti delle e dei cittadini di «razza ebraica». Però, in questo momento della nostra storia, segnato da fenomeni migratori di massa,  la giurisprudenza registra dei vuoti che devono essere colmati  seguendo i principi fondamentali della nostra Costituzione. Si dovrebbero emanare  leggi che permettano a chi nasce, vive, lavora, studia  in Italia da anni di poter essere riconoscit* cittadin* italian*. Una normativa con questi presupposti però non è ancora diventata legge dello Stato. La ius soli non è stata votata. Per fortuna ci sono persone che, su questi temi, non si arrendono.

L’insegnante Caterina Paone è stata referente  di un  progetto sui diritti negati che ha coinvolto alunn* e docenti dell’Istituto comprensivo Dulio Cabellotti. Questo progetto è stato riconosciuto come lavoro di qualità, e come nuovo modo di pensare la scuola dal Senato della Repubblica.  Il lavoro ha avuto inizio il 10 dicembre 2017, quando  per  la ricorrenza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani  sono state invitate a scuola le volontarie, dell’associazione di Rocca Priora “ una goccia nell’oceano”, che lavorano in  Camerun.  La ricerca è partita proprio da questo confronto tra esperienze diverse.  A ricordarlo il  commento di Noemi  della 1A.    Questi incontri mi hanno fatto riflettere molto… Non avrei mai pensato che ci fossero bambini e bambine che per bere un bicchiere di acqua percorrono chilometri e chilometri a piedi nudi. Non pensavo che non avessero cibo mentre nel nostro paese ci sono bambini e bambine a rischio obesità. Non pensavo che ci fossero bambini e bambine che lavorano tutto il giorno per sopravvivere. Vorrei un mondo in pace senza guerre. Siamo tutti essere umani, siamo tutti fratelli, non importa la religione, il colore della pelle… Perché tanti diritti negati? Vorrei che questa domanda non esistesse, VOGLIO un MONDO di PACE.

Mentre la Prof. Micaela Macrelli ha detto: la nostra esperienza di docenti di sostegno ci insegna che non è difficile l’inclusione se si conosce l’altro, l’alunno con le sue caratteristiche, individuando i suoi punti di forza, come nel nostro caso, la sua passione per la tecnologia e il Pc. Stimolare la curiosità diventa il punto di partenza dove ogni membro della classe può diventare un compagno di avventura per un apprendimento reciproco. Far sentire ciascuno accolto educa all’accoglienza; l’ascolto di ognuno educa all’ascolto: non buonismo ma bontà, non ipocrita compassione ma confronto tra pari. Micaela e Marco

Emiliano della I.C. ha così  commentato: Io stavo vedendo qualche notizia sui diritti negati e mi ha colpito questa lettera “Mi dispiace mamma, perché la barca è affondata e non sono riuscito a raggiungere l’Europa. Mi dispiace mamma, perché non riuscirò a saldare i debiti che avevo fatto per pagare il viaggio. Non ti rattristare se non trovano il mio corpo, cosa potrà mai offrirti, se non il peso delle spese di rimpatrio e sepoltura? Mi dispiace mamma, perché si è scatenata questa guerra ed io, come tanti altri uomini, sono dovuto partire. Eppure i miei sogni non erano grandi quanto quelli degli altri… Lo sai, i miei sogni erano grandi quanto le medicine per il tuo colon e le spese per sistemare i tuoi denti… A proposito… i miei denti sono diventati verdi per le alghe. Ma nonostante tutto, restano più belli di quelli del dittatore! Mi dispiace amore mio, perché sono riuscito a costruirti solo una casa fatta di fantasia: una bella capanna di legno, come quella che vedevamo nei film… una casa povera, ma lontana dai barili esplosivi, dalle discriminazioni religiose e razziali, dai pregiudizi dei vicini nei nostri confronti… Mi dispiace fratello mio, perchè non posso mandarti i cinquanta euro che avevo promesso di inviarti ogni mese per farti divertire un po’ prima della laurea… Mi dispiace sorella mia, perché non potrò mandarti il cellulare con l’opzione wi-fi, come quello delle tue amiche ricche… Mi dispiace casa mia, perché non potrò più appendere il cappotto dietro alla porta. Mi dispiace, sommozzatori e soccorritori che cercate i naufraghi, perché io non conosco il nome del mare in cui sono finito. E voi dell’ufficio rifugiati invece, non preoccupatevi, perchè io non sarò una croce per voi. Ti ringrazio mare, perché ci hai accolto senza visto né passaporto. Vi ringrazio pesci, che dividete il mio corpo senza chiedermi di che religione io sia o quale sia la mia affiliazione politica. Ringrazio i mezzi di comunicazione, che trasmetteranno la notizia della nostra morte per cinque minuti, ogni ora, per un paio di giorni almeno. Ringrazio anche voi, diventati tristi al sentire la nostra tragica notizia. Mi dispiace se sono affondato in mare.

La Prof.ssa Paola Appetito ha detto:  Partendo dal motto della Repubblica francese “Liberté, égalité, fraternité”, nelle classi terze abbiamo affrontato il tema dell’uguaglianza di diritti, dell’accoglienza e della solidarietà. Dopo aver visto dei filmati, aver letto un testo su Malala e un brano tratto da “Le racisme expliqué à ma fille” di Tahar Ben Jelloun, abbiamo letto e commentato una poesia dello scrittore africano René Philombe (Camerun), un testo del 1977 che è ancora attuale dato che fa riflettere sul tema dell’uguaglianza (dei diritti) nella diversità e della fratellanza intesa come valore laico. I ragazzi hanno immediatamente colto la risonanza che queste parole hanno per il lettore di oggi, confrontato al fenomeno migratorio e al dovere etico di prestare soccorso alle popolazioni che fuggono da situazioni di conflitto, di pericolo o di estrema povertà. Abbiamo scritto un breve commento in francese che vogliamo condividere con voi: “Cette poésie parle d’égalité et de fraternité, des valeurs fondamentales de notre société. L’auteur s’adresse directement à son “frère” en le priant de ne pas le repousser à cause de ses différences ethniques, physiques et religieuses. Il demande d’être accueilli parce qu’il est tout simplement un être humain. A travers ces vers, le poète nous rappelle que nous sommes tous égaux en droits au-delà des différences et il nous invite à réfléchir à notre comportement envers les autres et à celui de notre entourage”.

Il primo febbraio  di quest’anno alcun* migranti, ospiti di Casa Carlotta (Rocca Priora), hanno incontrato i ragazzi e le ragazze di due classi di questa  scuola. Durante questo incontro è stata significativa  la partecipazione. Tutt* erano curios* di conoscere queste storie tanto diverse dalle loro, ma tanto vicine;  si è vista gratitudine e affetto negli occhi di queste persone quasi incredule di ricevere un’accoglienza tanto calorosa; evidente la commozione negli occhi e nelle parole dei ragazzi e delle ragazze che hanno fatto di tutto per dimostrare la loro solidarietà e il loro supporto emotivo; la sofferenza nelle storie era controbilanciata dalla speranza nelle parole di un padre che si augura che i propri figli e le proprie figlie abbiano una vita migliore qui in Italia.

 Michele della  1C  ha detto: sono sicuro che sono stato fortunato nella mia vita: ho una casa, un cane, una famiglia, dei giocattoli e frequento una scuola. Sono stato fortunato in questi undici anni di vita. Sono stato in Africa, ho visto la povertà che c’è lì. Bambini di tre, quattro anni che percorrono km per prendere acqua per la loro famiglia, ci sono pochi villaggi con pozzi e, questi bambini sono costretti a farlo. Io sono stato in Africa ma in un posto abbastanza ricco, papà invece è stato in Congo e dice che lì, non solo c’è pochissima acqua ma molti bambini muoiono anche a causa di una semplice febbre. Per giocare a pallone si accontentano di una lattina. Spero che la situazione lì possa migliorare.

Questa esperienza didattica nella sua interezza può essere consultata sul sito del Senato