La giornata di sabato 22 settembre, organizzata da Non una di Meno Roma presso la Casa delle donne Lucha y Siesta, ha visto la partecipazione di circa 200 donne provenienti da tutta Italia. Per facilitare la discussione ci si è suddivise in due tavoli di lavoro.

Nel primo tavolo la discussione si è concentrata sulla condivisione di idee e strumenti utilizzati in questi anni dagli spazi femministi nel dialogo con le istituzioni o con il privato, per riformulare quelli non idonei alla realizzazione del nostro diritto di esistere in forma autonoma, libera e autodeterminata. Il secondo tavolo di lavoro ha focalizzato il dibattito sulle macro e micro pratiche di conflitto al fine di favorire l’emergere delle vertenze che animano i livelli territoriali da cui proveniamo.

La giornata si è poi conclusa con una ricca e partecipata assemblea plenaria.

Le partecipanti ai tavoli hanno rappresentato diverse esperienze di gestione e autogestione di spazi delle donne, centri antiviolenza, case delle donne, consultori, singole, gruppi e associazioni. Storie diverse che si sono ritrovate con l’intento di dare una lettura comune agli attacchi che si diffondono in maniera capillare a danno tanto degli storici luoghi delle donne, quanto delle esperienze più recenti sbocciate negli ultimi anni sull’onda del movimento di Non una di meno. Nate in contesti e climi differenti, tutte le esperienze hanno denunciato una sostanziale difficoltà nell’ interlocuzione con le istituzioni che, quando non ingaggiano uno scontro frontale, non ne riconoscono affatto il valore politico, storico e culturale.

Spesso legati a bandi, concessioni o convenzioni di breve periodo, molti spazi femministi vivono con disagio e incertezza il proprio futuro e denunciano un tentativo di svuotamento del loro senso politico da parte di soggetti esterni (asl, assessorati e amministrazioni comunali, enti territoriali). È stata condivisa la necessità di rifiutare le logiche di mercificazione degli spazi femministi, stretti da debiti e costi insostenibili per luoghi nati senza scopo di lucro e che tali riteniamo debbano rimanere.

Altre realtà hanno riportato esperienze di liberazione di spazi pubblici lasciati abbandonati nate dal basso e in città dove non esistevano prima luoghi femministi di incontro e di elaborazione. È necessario sostenere con più forza queste esperienze e favorire forme di solidarietà diffusa in primis da parte degli altri spazi femministi, che le metta nelle condizioni di chiedere il dovuto riconoscimento. Molte denunciano che le mobilitazioni svoltesi in diverse città per evitare la chiusura di centri, case e servizi e del loro valore storico e simbolico, sono rimaste senza esito, così come richieste di incontri e tavoli avanzate ai vari soggetti competenti. Nei tribunali, soprattutto in sede civile, si nota una simile ostilità verso le donne che denunciano (e i gruppi che le sostengono) e che devono affrontare lunghi percorsi giudiziari.

In modo unanime l’assemblea ha sottolineato come, al di là del loro valore fisico, non vi sia differenza tra luoghi e pensiero femminista. Attaccare i luoghi femministi significa dunque anche attaccare la possibilità di fare politica femminista, sottrarci lo spazio entro il quale la nostra elaborazione politica nasce e si rinnova, mettendo in crisi anche gli spazi misti della politica, dove si fa molta fatica a portare interventi di contrasto alla violenza di genere. Le città in cui viviamo stanno diventando terreni scivolosi, dove  è difficile continuare ad operare a causa di un contesto politico che anima un clima sociale ostile ai luoghi di aggregazione e socialità, ostile ai soggetti che promuovono forme di integrazione con i soggetti migranti, ostile alle forme di autorganizzazione innovativa. La politica femminista basata sulla relazione continua, sulla centralità dei bisogni e dei desideri e sulla valorizzazione dell’altra, è in grado di dimostrarsi saldamente antifascista e antirazzista e si propone oggi più forte che mai come fondamentale arma di Resistenza culturale contro gli attacchi del patriarcato e i pericoli del neoliberismo. Per questo non dobbiamo mai smettere di stare nelle piazze e di parlare con i territori al di là dei nostri spazi fisici.

L’attacco agli spazi delle donne è dunque un attacco alla politica femminista e a quanto essa ha prodotto negli ultimi decenni in termini di pratiche di contrasto alla violenza e di allargamento dell’agibilità politica dei movimenti delle donne. Si sta agendo su più fronti e con particolare ferocia negli ultimissimi tempi. Si tratta di uno schema di ingegneria sociale antifemminista che intende riportare tante nelle case e negli ambiti esclusivamente privati, negando luoghi di incontro, diritti di cittadinanza e libertà civili. Consapevoli di star vivendo un passaggio storico e simbolico fondamentale, dobbiamo situarci nella complessità del presente per poter incidere nella società che ci circonda a tutela soprattutto di quelle che vivono le più cruente forme di violenza sulla loro pelle, le donne migranti.

Data la gravità e urgenza del tema, molto si è discusso in merito i disegni di legge Pillon di cui se ne denuncia la pericolosità che va ad inasprire fortemente il quadro già presente nei Tribunali italiani con particolare riferimento alla sede civile. Si tratta infatti di un impianto normativo classista che tende a danneggiare il coniuge con la situazione economica meno favorevole, generalmente la madre. Si denuncia che quanto proposto in termini di alienazione parentale viola ogni forma di contrasto alla violenza domestica, a partire dalla Convenzione di Istanbul in quanto contribuisce alla non emersione del fenomeno e soprattutto non tiene nella dovuta considerazione le ripercussioni che vivono i minori che assistono alle violenze. Ne discende un quadro fortemente patriarcale promotore di strumenti, quali la mediazione familiare, che il movimento femminista rifiuta e denuncia come estremamente dannosi. I disegni di legge  Pillon vanno contrastati in maniera univoca e unendo tutte le nostre forze.

Proposte:

 

    Avviare una campagna informativa contro i disegni di legge Pillon

    Azioni conflittuali coordinate a livello nazionale

    Costruire un coordinamento delle case e degli spazi femministi

    Coinvolgere enti istituzionali (come Anci e Regioni) per promuovere l’utilizzo degli edifici abbandonati per l’apertura di spazi femministi e per il loro riconoscimento come bene comune

    Ampliare le interlocuzioni sul futuro degli spazi femministi a livello internazionale

 

  • Costruire campagne e redigere un documento condiviso a sostegno dell’inalienabilità degli spazi femministi e sulla necessità urgente di favorirne il moltiplicarsi, da sottoporre all’attenzione di soggetti politici, sociali e culturali

 

Abbiamo concluso questa prima giornata di lavoro con un patto di sorellanza e di lotta ben chiaro: se toccano una toccano tutte e dunque nessuno spazio verrà lasciato solo!   Vista l’ottima partecipazione da molte città riconosciamo che l’incontro ha risposto al bisogno di incontrarsi  e di confrontarsi in un momento in cui il contesto politico ci fa sentire precarie, ma stanche di sentirci sotto attacco, oggi è tempo di una reazione forte e articolata di rilancio della battaglia per costruire nuove città femministe. Di questo avremmo voglia, di continuare a discutere a Bologna portando le proposte nate dall’incontro del 22 e raccogliendo nuove suggestioni e idee.

Nell’attesa del 6/7 ottobre ringraziamo tutte le sorelle che sono venute a Roma sabato 22, scegliendo di investire tempo, risorse e fatica. Scegliamo di non nominare le città e le realtà presente per non escluderne nessuna, neanche quelle che hanno scelto di non intervenire, consapevoli del fatto che tutte hanno portato un contributo prezioso in termini di contenuto, ma soprattutto di relazioni.

Abbiamo voglia di utopia

NON UNA DI MENO Roma