Nella sala congressi della Casa Internazionale delle Donne in via della Lungara il 9 ottobre 2018 alle ore 17, l’associazione Utopia organizza la presentazione dell’ultimo numero di DWF

Razan al Najjar

A Razan Al Najjar,  giovane infermiera uccisa a Gaza il 1 giugno 2018  –  C’è stato un tempo in cui nelle piazze del nostro paese sventolavano bandiere palestinesi, le kefiah si indossavano tutti i giorni, ‘autodeterminazione dei popoli’ era la parola d’ordine di una società civile presente e attiva, vicina e solidale a una popolazione, quella palestinese, che dal 1948 si era vista, progressivamente, portare via la terra, le case, i sogni, le speranze, in quello che è definito da sempre conflitto israelo-palestinese o questione palestinese. La storia della difficile convivenza tra israeliani e palestinesi, o meglio la storia dell’occupazione sionista della Palestina, con la complicità della comunità internazionale, è nota ai più. Libri di storia, romanzi, letture e riletture, cronache e testimonianze, denunce e, più recentemente, la documentazione fotografica e video che attraverso il web e i social arriva quotidianamente sui nostri pc e smartphone, raccontano del dispiegarsi del colonialismo e delle sue tracce e modalità contemporanee, di uno stato di occupazione militare, diaspore, campi profughi, apartheid, guerre, attentati, tunnel clandestini, terrorismo, conflitti di civiltà e di religione, violenza, morte, disperazione, assedio, muri e filo spinato, resistenza.

C’è chi – come noi – tutto questo l’ha visto con i propri occhi andando in Palestina, calpestando quella terra, per studiare, per conoscere, per confrontarsi, per toccare con mano quella questione palestinese che ci pone di fronte, in quanto femministe, alle contraddizioni di una lotta che ha i colori del nazionalismo, che si fonda sulla rivendicazione dello Stato e dell’identità, ma che vede comunque le donne protagoniste.

Con questo numero abbiamo voluto affrontare la relazione tra le palestinesi e la loro terra mettendo al centro la resistenza, una doppia resistenza: all’occupazione israeliana e alla società patriarcale palestinese. Lo abbiamo fatto seguendo un triplice percorso: mettere a tema il rapporto tra femminismo e nazionalismo, in un contesto in cui entrambi cambiano di segno quando la prospettiva non è quella ‘occidentale’ o quest’ultima viene messa in discussione; dare voce e corpo alle donne palestinesi che vivono sotto occupazione in Cisgiordania e a Gaza o che vivono altrove perché figlie e nipoti della diaspora; interrogare la relazione che esiste tra la lotta delle donne per la Palestina e la battaglia delle donne per la liberazione dalla cultura patriarcale, attraverso la vita quotidiana, l’arte, la letteratura, la musica, la rappresentazione.

 

Razan al Najjar aveva le mani alzate e stava cercando di avvicinarsi a un ferito steso a terra quando è stata colpita da un cecchino israeliano durante le proteste di venerdì 1 giugno nella Striscia di Gaza, al confine con Israele. Insieme a lei sono stati uccisi altri tre palestinesi. Al Najjar aveva 21 anni. Ora il governo israeliano sostiene che fosse uno scudo umano.

Il portavoce del premier israeliano Benjamin Netanyahu per i mezzi d’informazione in arabo ha scritto sul suo account Twitter: ““Ecco #RazanNajjar, che è venuta alla frontiera di Gaza la settimana scorsa ‘per fare l’infermiera’ e sfortunatamente ha perso la vita. Ma da quando le infermiere partecipano alle sommosse e dicono di essere scudi umani per i terroristi? Hamas l’ha usata come scudo umano per permettere ai suoi terroristi di dare l’assalto alla frontiera”.