Nel declinare del caldo settembre romano in un ottobre che si annuncia rovente per la Casa internazionale delle donne, su proposta di un apposito gruppo di lavoro, è stata organizzata una giornata, sabato 29, dedicata al dirsi e all’ascolto. Una parentesi di tenero afflato montessoriano, presente una “facilitatrice esperta di comunicazione”, che non dovrebbe aver mai faticato meno data l’ottima disposizione delle partecipanti.  Un po’ vetero il titolo, ma ci stava, “Ri(e)voluzini permanenti”, di una scaletta su tre punti –  identità della Casa; Progettualità; Relazioni, pratiche, comunicazione e regole – che dalle 9 alle 18 ha alternato momenti corali e tavoli di lavoro, conclusa da una plenaria.

La sede era la Sala intitolata a Carla Lonzi – donna che il femminismo l’ha teorizzato e coerentemente vissuto – e di cui la consapevolezza femminista ha ribaltato il simbolico: da ex locale di lavoro forzato del Penitenziario dell’ex Buon Pastore che rinchiudeva donne condannate dallo Stato teocratico della Chiesa per reati ritenuti connessi alla moralità e alla fede,  a spazio iscritto nella autodeterminazione, intelligenza, saperi e talenti, aspirazioni e desideri delle donne. In merito, per chi non conosca le peculiarità del “luogo” Casa internazionale delle donne, la sua importanza transgenerazionale, il suo valore simbolico, le sue etiche, suggerisco, arrossendo, la lettura della prima fonte, il libro La città della Dea Perenna, a firma di chi scrive, consultabile in Archivia, nonché la lettura degli incipit degli Statuti dei due soggetti politici che sostennero l’iter costitutivo della Casa internazionale delle donne (Affi e Cfs), e quelli degli Enti femministi gestori (odierno Aps Casa internazionale delle donne), e opere successive, su vari supporti, recuperanti quei dati, oltre alla visione del sito: www.casainternazionaledelledonne.org.

Tornando al sabato 29, nella  Carla Lonzi aleggiava ancora la commozione, la stima, l’affetto, il rispetto, la riconoscenza espressa dalla folla che aveva ricordato Clara Sereni, affascinante e complessa scrittrice/politica/artista, femminista che ebbe sempre la Casa a cuore; nuova folla, questa volta di giornalist*, s’era radunata il venerdì nella sala per il corso di formazione promosso dall’Odg del Lazio, con in oggetto la Casa e al fine di sostenerla.

Chiunque entri nella Carla Lonzi vede vibrare sul muro il sapiente e appassionato intreccio di linguaggi artistici (tessile, pittorico, scultoreo), che nelle sfumature del porpora e del rosso rimanda il calore di un caminetto. È la tela di Maria Teresa Guerrero, detta Maité, profuga cilena, insegnante d’arte, cui s’intitola il nostro Premio di scrittura femminile “Il Paese delle donne” gemellato con “Donna e Poesia”. Maité ebbe una vita complessa e difficile e fu anche nostra redattrice. Quell’opera ce la regalò per “scaldarci” in un periodo di grande intirizzimento per il freddo, per i disagi, per le difficoltà che attraversarono le vite delle partecipanti al più che decennale iter costitutivo della Casa internazionale delle donne, quando alla durezza della lotta politica in difesa della cittadinanza femminile, largamente intesa,  univa per noi l’uscita settimanale della testata all’epoca cartacea (autogestita e autofinanziata), e il solito doppio/triplo lavoro di cura familiare, di lavoro domestico ed extradomestico, per molte di noi di maternità.

La generazione politica, non anagrafica, che colse l’obiettivo della Casa attraverso una politica dei luoghi condivisa da donne dentro e fuori le istituzioni, in un virtuoso ed efficace “patto tra donne” già sperimentato al Governo Vecchio, oggi difende la Casa e riflette sui suoi percorsi ed esiti – In questo senso occorre approfondire le conoscenze, valorizzarne il simbolico e intersecare le narrazioni. In questo solco si è posta la giornata di ieri le cui volenterose partecipanti hanno, nei vari tavoli, scelto fotografie (in una rosa preordinata), da apporre ai cartoni appesi ai muri e riportato nelle didascalie le parole emerse, in apertura, sulla necessità del confronto, del nominare i conflitti, nel progettare e riprogettare la Casa e farla vivere, rintracciare, nella complessità, i desideranda. Come (continuare) a tradurre l’utopia in organizzazione ed esperienza?

Scusandomi perché, per impegni pregressi, non ho seguito i lavori pomeridiani, rimando per i risultati della plenaria ad altre fonti della Casa Internazionale delle Donne.