bravetta

L’Istituto di Istruzione superiore “Via Silvestri, 301” all’interno del complesso monumentale del “Buon Pastore” di Via di Bravetta ospita le sezioni associate del Liceo Scientifico (ex “M. Malpighi”), e dell’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri (ex “A. Ceccarelli), entrambe coinvolte nel Progetto didattico “Buon Pastore a Bravetta” che “promuove, attraverso un approccio multidisciplinare, la reale conoscenza e comprensione del complesso monumentale del Buon Pastore in quanto patrimonio materiale e immateriale: materiale in quanto struttura architettonica di pregio collocata in un contesto territoriale di alto valore paesaggistico; immateriale in quanto teatro di importanti eventi di carattere storico e religioso.”

Il Progetto, coordinato dalla prof.ra Paola Pontani che ne ha curato l’ambito Artistico, ne ha previsti altri quattro – Religioso (prof.ra Maura Silvi), Storico (proff. Simone Colafranceschi, Fiorella Vengi, Anna Yaria), Territorio e Ambiente (proff. Marta Sereni e Gianni Siracusano), multimediale e sito internet (prof.re Flavio Comandini), che hanno prodotto una ricerca e una Mostra (20-21 maggio) che hanno coinvolto gli/le studenti “protagonisti nella preparazione e conduzione di visite guidate rivolte alla collettività.”

La Mostra – aperta dal canto del Gloria – ha ripercorso la storia del complesso monumentale e quella dell’ordine committente: Nostra Signora della Carità del Buon Pastore di Angers.

Commissionata il 25 novembre 1929 all’architetto Armando Brasini, la sede di Bravetta lo impegnò fino al 1940. Tra i più noti architetti del periodo fra neoclassicismo ed eclettismo, entrato nei favori di Mussolini,  aveva già lavorato a Tripoli (es. Lungomare Volpi, Monumento ai Caduti e alla Vittoria), e nella capitale aveva, tra l’altro, creato il piano regolatore del quartiere Flaminio, così come firmerà Ponte Flaminio. Numerose anche le sue chiese e le ville.

Costruì un edificio atipico, d’enorme cubatura, con una planimetria di 12.000 mq, il profilo frastagliato, con  guglie, a metà tra il castello e la fortezza, in mezzo a vasti prati di una bella fattoria oggi ingoiati dal selvaggio espandersi dell’urbe.

Tradusse perfettamente il simbolico della committenza, che intendeva l’edificio come “la porta celeste” della sede della cattolicità, una “città celeste” incentrata nell’immensa chiesa cruciforme, con altare centrale su basamento a gradoni, deambulatorio e matroneo, diventata l’amplissima sede espositiva della Mostra.

Raccordò il fronte della chiesa (oggi Sala espositiva), convesso e movimentato, a tre livelli, con accesso da due brevi rampe porticate e raccordato ai corpi laterali, con sviluppo simmetrico, in parte sovrastati da ampie terrazze. Negli interni, lunghi e ampi corridoi agevolavano (e nell’utilizzo odierno agevolano), il transito nelle parti diversamente destinate del complesso e  d’utilizzo riservato (per i locali di servizio e le cucine, per le suore e le novizie, per il reclusorio femminile).

Dei cortili interni, il più vasto d’essi, quello “d’onore” è ancora detto “degli Angeli” per le due statue bronzee, con trombe, giganteggianti sul portico, rialzato, che tramite due rampe d’accesso coperte porta alla chiesa. Dalla parte opposta del cortile, svetta, altissima, un’alzata con, nella parte interna, una raffigurazione della Madonna con il Bambino.

L’ordine francese ha d’altronde sempre avuto una netta vocazione mariana, con numerosi crediti rispetto al pronunciamento del dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Pio IX (1856), suo Segretario Generale.

Una carica dovuta all’interessamento e alla grande amicizia che legò il Cardinale Vicario Carlo Odescalchi alla fondatrice, Suor Maria di S. Eufrasia Pelletier, figura di spicco nel panorama della Restaurazione, di cui fu tra le massime interpreti, santificata nel 1930 “per fedeltà al trono di Pietro”.

Di famiglia cattolica e “realista”, nata sull’isola di Noirmountier, ultima trincea delle armate controrivoluzionarie dei “Bianchi”, Rosa Virginia Pelletier, futura Fondatrice, fu battezzata segretamente, e crebbe nella volontà di contrastare le idee della Rivoluzione Francese e impedire la ripetizione del dramma che aveva scosso la cattolicità: la prigionia e la morte in esilio del Papa, Roma, capitale dello Stato della Chiesa, diventata la Repubblica Romana (la prima, giacobina, 1798-99).

Fin da bambina mostrò di avere una grande fede, una grandissima energia e altrettanta determinazione. Giovanissima, prese il velo nel piccolo ordine seicentesco di Nostra Signora della Carità per suore che gestivano reclusori per Pentite, tutti autonomi dal primo, a Caen, e tutti con noviziato, detto anche “Ordine del Rifugio” (da non confondere con la rete medievale dei Rifugi del Buon Pastore). Superate molte difficoltà, sostenuta dal clero locale e dalla piccola nobiltà vandeana, in ricostituzione, ritenendo che il suo ordine fosse inadeguato ai tempi, ne fondò uno nuovo, piramidale, con Generalato, centralità della Casa Madre di Angers, noviziato unico, nuove finalità statutarie (oltre che contemplative, missionarie, il che le permise l’aiuto della Propaganda Fide). Il nuovo assetto, le permise di gestire qualsiasi tipo di reclusorio per adulte e bambine, sia quelle internate dalle famiglie o dal Collegio dei Parroci o dal Tribunale del Cardinal Vicario o dai rispettivi ordini religiosi, sia quelle condannate da un tribunale, quindi carceri di Stato. Il primo fu aperto nella prima sede romana dell’ordine, in Via della Lungara 19 (oggi Casa internazionale delle donne), gestito in un vecchio reclusorio seicentesco di cui la Fondatrice aveva rilevato la direzione, dal Collegio dei Parroci, nel 1838, su incarico del Cardinal Vicario Carlo Odescalchi.

Lì, Suor Maria di Sant’Eufrasia Pelletier estese a tutte le recluse, suddivise su criteri moralistici e religiosi,  la sua Regola delle Maddalene che imponeva il silenzio, la preghiera e il lavoro (di cucito e di ricamo), e sperimentò nuovi metodi di gestione della comunità intrecciando percorsi penitenziali a quelli di conversione all’ortodossia cattolica (da altre fedi o da comportamenti non ortodossi).

Una seconda sede dell’ordine, la Lauretana, aperta poco dopo, per donne di migliore estrazione, diventò il fulcro delle sue attività di rappresentanza e diplomatiche, unica sede del noviziato (romano).

Altri e numerosi ordini furono fondati da Suor Maria di Sant’Eufrasia Pelletier a corollario del principale, di Angers. Diventò la Direttrice dei riformatori femminili dell’Impero Asburgico; creò le prime colonie di lavoro per prigioniere minorenni; aprì strutture polifunzionali con asili e scuole; fu forse la maggiore  Fondatrice, nella storia del monachesimo femminile, per numero di Case aperte, in vita: 120, in tutto il mondo. Nel 1942 la sua statua,  di G. Nicolini, fu collocata nella Basilica di San Pietro.

La Mostra biografa il suo ordine, a Bravetta, ricostruendo esattamente gli eventi e i passaggi e le destinazioni di quella sede dove 98 suore entrarono nel maggio 1940, in occasione della canonizzazione della Fondatrice.

“Nel capitolo generale” si legge, di maggio 1940, “fu votata la vendita del Complesso troppo grande e non abbastanza funzionale.” Talmente grande da ospitare, dal 17 ottobre ’40, un ospedale regio di riserva, le suore trasferendosi, il 4 novembre, a Villa Giulia (Pineta Sacchetti).

Le vicende del Fascismo e della Guerra provocarono altri cambiamenti.

Nel 1943, i Tedeschi occuparono il complesso di Bravetta utilizzandolo “in parte come ospedale, in parte come deposito e accampamento”. Lo spazio non mancava. La chiesa fu chiusa. Sarà poi riaperta.

Un sopraggiunto accordo con il Comando Tedesco liberò l’edificio (3 giugno 1944) che la mattina dopo (4 giugno) fu occupato dagli Alleati (americani), già saccheggiato. Funzionerà, fino al 45, da ospedale e continuerà a esserlo (militare) dal 25 giugno ’45 quando entrò l’Ordine dei Cavalieri di Malta.

Le suore del Buon Pastore, collaborando con l’Unrra (Associazione degli Stati Uniti di Assistenza e Riabilitazione) avranno restituito il complesso nell’estate di quell’anno, senza che i Cavalieri di Malta lasciassero l’ala destra. “Nell’ala sinistra, entrarono le prime 30 ragazze”. Dieci provenivano dal Buon Pastore alla Lungara e venti dalla (distrutta) Lauretana, cosicché riprese il programma “di formazione ed educazione” che “superando il concetto moralistico di ‘rieducazione’ puntò a formare le ragazze anche culturalmente e professionalmente.”

Cambiarono perciò, sensibilmente, alcuni atteggiamenti e anche l’organizzazione dello spazio. Abolita la grande camerata-dormitorio si passò a piccoli appartamenti con sala da pranzo, da letto e soggiorno per piccoli gruppi di ragazze; nel 1958 fu aperta la Sala-teatro (architetto Arcadi), che portò tra quelle mura momenti di svago e di coinvolgimento anche terapeutico.

Nella Mostra, una testimonianza di Suor Ersilia, vissuta a Bravetta dal 1958, rilasciata nella Casa Provinciale dell’ordine, in merito alla vita quotidiana e di studio delle ragazze, suddivise in quattro gruppo di quindici. Nella sua testimonianza, anche rimandi poco lusinghieri all’uso che Brasini ha fatto dello spazio e il rimando ai ricordi di altra suora di come lui volesse destinare le terrazze a deposito di campane.

Nell’impossibilità di riferire, in dettaglio i cambiamenti degli anni Cinquanta e Sessanta in cui passarono a Bravetta le recluse, le pensionate, pellegrine/i, e più volte cambiò la sistemazione interna, la presenza e/o la convivenza tra enti diversi, noto che solo nel 1962 chiuse la Scuola apostolica presso il Buon Pastore e nel 1964 chiuse anche l’ospedale dei Cavalieri di Malta.

Nel 1966, Angers perse il Generalato a favore di Bravetta ed esso, con l’Amministrazione del Provincialato, furono poi trasferiti in successiva proprietà dell’ordine, a Monteverde.

Venduto il 2 febbraio 1973, dalla Monasterium Good Shepherd Corporation, con sede nel New Jersy – l’ente che si era creato nel 1929 al fine dell’acquisto di quei 25 ettari – alla Provincia di Roma (nella persona di Giorgio La Morgia), il complesso di Bravetta, che già ospitava una scuola media, fu consegnato, in ogni altra parte, completamente libero.

Rimosse le pericolose guglie, ripavimentato il cortile, il complesso monumentale diventò, il 1 settembre 2014, la sede della predetta sezione dell’IIs “Via Silvestri, 301”.

Sono i suoi allieve e le sue allieve che, coinvolti/e nel Progetto, nella ricerca e nell’allestimento della Mostra, hanno fatto un’esperienza fuori dall’ordinario, contribuendo a riportare alla luce un interessante pezzo di storia monastica e cittadina nonché un pezzo non meno importante di quella della reclusione laica e religiosa femminile. Protagonisti/e “della condivisione delle conoscenze”, hanno svolto “funzioni di guida nelle visite rivolte alla collettività.”

Nella nota acclusa al materiale della Mostra, le suore di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore, oggi circa 4.000 in 70 paesi, si raccontano. “Continuiamo l’Opera iniziata dalla Fondatrice verso le donne, giovinette e bambine, anche se in forme diverse, secondo le esigenze del luogo. Troviamo, tra l’altro, comunità-alloggio per minore e residenze per donne maltrattate, donne vittime della tratta, giovani madri con bambini, bambine abusate”.

Un’iniziativa, dunque, culturalmente molto ricca e che si spera si possa riproporre dato l’interesse del luogo.