Il 18 aprile alle 18,30 alla Libreria Feltrinelli di Piazza Colonna a Roma  Cristina Comencini e Pier Luigi Battista  presentano il libro di  Maria Serena Sapegno  Figlie del Padre. Passione e autorità nella letteratura occidentale. Feltrinelli 2018  “Il rapporto tra padre e figlia parla dell’autorità e dei limiti del Potere, del rapporto tra natura e cultura, della legge e della morale. E, attraverso diverse figure di figlie ribelli come Eva, Antigone e Cordelia, parla di resistenza all’autorità, di trasgressione.”

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La letteratura –  racconta  Maria Serena Sapegno durante una intervista rilasciata a letture.org – rappresenta e codifica la nostra cultura fin dalle origini della scrittura, ed è proprio alle origini, già nel mito e nella Bibbia, che vengono proposti dei modelli di relazione tra padre e figlia che fondano la stessa idea di autorità. Nel tempo il rapporto viene raccontato in modi diversi: figlie predilette che vengono sacrificate, madri assenti, figlie che non diventano mai donne, padri che chiedono di essere riconosciuti e amati in modo quasi materno. Non si tratta di un processo lineare ed evolutivo, ma della scoperta lenta e contraddittoria dei tanti possibili aspetti di una relazione importante che tende ad essere sottovalutata per il prevalere del triangolo padre-madre-figlio che mette al centro la competizione tra Padre e figlio, per il potere e per l’amore della madre.

Nel rapporto privilegiato con la figlia, di solito primogenita, si gioca invece spesso un’alleanza contro la madre, o comunque contro la figura materna: il mandato paterno investe la figlia di un’aspettativa speciale, la consegna ad una posizione di attributo del padre, tendenzialmente androgina, vergine come la guerriera Minerva, archetipo della figlia del padre, nata appunto dalla testa di Giove. Molte saranno le figlie del padre che non diventeranno mai donne né madri, libere dal destino femminile in cambio della responsabilità di pensare in proprio. Pronte ad accettare il sacrificio se il sospetto della sessualità si insinua nel rapporto, poiché su di loro ricade naturalmente la colpa come nelle eroine di Lessing. E il Padre incarna la Legge.

Eppure ad un certo punto cominciano ad esserci anche figlie ribelli all’autorità paterna, e di loro narrano gli scrittori ma anche le prime scrittrici: una ribellione che esprime una crisi ed un bisogno di cambiamento, di un’autorità diversa. Autorità paterna è anche quella della Tradizione letteraria con la quale devono misurarsi le scrittrici.

Infine a crisi del Padre conclamata saranno molte figlie a rappresentare un soggetto nuovo, portatore di cambiamento ma anche di conflitto, testimoni in letteratura di nuove e diverse esigenze, di movimenti sociali profondi come il femminismo. E di tale significativa novità saranno interpreti non solo le scrittrici ma anche molti scrittori.

Eppure questo rapporto così delicato e contraddittorio è fondamentale per le figlie per la conquista dell’indipendenza, per l’avventura nello spazio pubblico, per la costituzione del senso di sé.

Molti scrittori e molte scrittrici si sono appassionati/e a tale relazione: dai tragici greci cui dobbiamo alcuni degli archetipi che continueranno ad essere rivisitati fino alla contemporaneità, come Ifigenia, Elettra ed Antigone, passando per Ovidio, Boccaccio e Shakespeare, per arrivare alle scrittrici dell’Ottocento come Jane Austen, Madame de Stael, le sorelle Bronte, George Eliot o Louise May Alcott. Ma il grande romanzo dell’Ottocento parla della crisi dell’autorità attraverso il rapporto del padre con la figlia in Dickens e Balzac, così come nel Novecento ne parleranno Henry James, Ibsen e molti altri. O sarà Virginia Woolf a raccontare la difficile avventura delle “figlie degli uomini colti” in un mondo in cui la legge del Padre è diventata sempre più l’autoritarismo maschile de militarismo nazifascista.   Per finire con quel capolavoro che è Pastorale americana di Philip Roth che mette al centro il drammatico fallimento di un rapporto padre-figlia, che parla anche di altri fallimenti.

Alle origini della civiltà, nella famiglia, il Padre è portatore del potere e la figlia è priva di qualsiasi potere, destinata dal padre ad essere ceduta in matrimonio fuori della famiglia. È proprio la necessità di aprire alla società, e di fondare così la cultura, che sta dietro a quel tabù dell’incesto che vieta la sessualità innanzitutto tra padre e figlia. Un fantasma, quello dell’incesto, che è sempre dietro la profonda ambivalenza di tale relazione. La letteratura rappresenta in svariati modi diversi quell’ambivalenza e oltre a raccontare l’autorità paterna, svela anche il coinvolgimento affettivo del padre, in particolare a partire dall’Illuminismo e parla di limite dell’autorità. La critica del potere assoluto infatti si traduce anche nella immaginazione di padri che entrano in crisi, che si lasciano modificare dall’affettività, che devono rilegittimare la propria autorità e il rapporto con la figlia si presta molto bene a tale necessità.

Eva, Antigone e Cordelia sono figlie ribelli ma anche epigoni di resistenza all’autorità e trasgressione. Si tratta di figure simboliche molto diverse e tutte importanti e complesse. Eva è figura discussa, e rivista di recente anche nell’interpretazione delle teologhe femministe, ma ha per secoli rappresentato la trasgressione, la tentazione e il rifiuto del limite: aspetti tutti negativi e per questo puniti duramente con la condanna di tutte le donne a soffrire i dolori del parto per l’eternità.

Antigone invece, che nel nostro secolo è stata riletta soprattutto da un punto di vista politico, rappresenta anche la ribellione al potere in nome di un’altra legge, diversa da quella del potere regio e paterno, perché fondata su un diverso ordine simbolico, che potremmo definire ‘materno’ nel senso del prioritario rispetto per la corporeità, nella vita e nella morte, e per i riti funerari che la celebrano.

Infine la Cordelia shakespeariana definisce con coraggio e lucidità i limiti dell’autorità paterna/regia di cui denuncia l’abuso e l’ambiguità para-incestuosa, contribuendo a mettere a fuoco e a condannare la follia implicita nell’abuso di potere.