Documento a cura della Sezione femminile della Direzione del Pci Via Botteghe Oscure, 4 • Roma Fotocomposizione: Velox • Roma Redazione : Grazia Leonardi Coordinamento Editoriale: Roberto Presciutti Collaborazione Grafica: Viviana Fantini Copertina: Bruno Magno Stampa : Nuova stampa di Mondadori – Cles (Trento) Aprile 1987

VENERDI’ 5 maggio 2017 alle ore 17 nella Sala Aldo Moro, della Camera dei Deputati un incontro proposto dalla Fondazione Nilde Iotti per confrontarsi sull’ultimo lavoro di Letizia Paolozzi e Alberto Leiss pubblicato da Biblink ed.

1986: nel Pci con un’identità ormai in crisi dopo la morte di Berlinguer, un gruppo di donne organizzato da Livia Turco cerca nel femminismo e nella forza sociale femminile la chiave di una nuova politica, e scrive la Carta itinerante delle donne comuniste. In tutta Italia si moltiplicano incontri, manifestazioni, proposte: nell’87 moltissime candidate vengono elette in Parlamento nelle liste del maggior partito della sinistra.

Nell’89 il crollo del muro di Berlino e la ‘svolta’ mettono fine a una storia: lo scontro tra il Sì e il No sul cambiamento del nome divide anche il gruppo della Carta.
Trent’anni dopo le protagoniste di quell’esperienza si ritrovano. L’incontro diventa testimonianza a più voci e un racconto del passato che non rimuove la differenza dei sessi e parla anche al nostro presente.

Si prega di far pervenire le adesioni ma entro il 3 di maggio presso:  info@fondazionenildeiotti.it

———————————————–

Nel giugno di due anni fa sulla Carta delle donne Franca Chiaromonte scriveva:

L’aspetto più rilevante della Carta per me è consistito nelle relazioni che ha prodotto. D’altronde nel femminismo ho appreso l’importanza di una politica che mette al primo posto le relazioni. La politica delle donne; la politica che si pratica quando si riconosce la differenza dei sessi.

Dice Luce Irigaray: «La differenza sessuale rappresenta la cosa che la nostra epoca ha da pensare». Nel Sottosopra verde – Più donne che uomini – del gennaio 1983, si può leggere: «Le cose che di fatto siamo, nella parte sociale che ci troviamo a vivere, madri, casalinghe, lavoratrici extradomestiche, politiche, marginali, possono ispirare delle critiche circa questa società».

La differenza femminile rappresenta ancora oggi il problema che dobbiamo mettere in luce dietro gli stereotipi e i modelli che ci ha imposto il patriarcato.

In quella fase della Carta, io studio molto, leggo i testi sacri che non sono Marx o Gramsci ma, appunto, Luce Irigaray, Non credere di avere dei diritti della Libreria delle donne di Milano, Hannah Arendt, Simone Weil, Virginia Woolf, Ivy Compton-Burnett, Kate Millett, Clarice Lispetor, Mary Catherine Bateson, Melanie Klein, Martha Nussbaum, Jane Austen, Julia Kristeva.

Non è un periodo serioso ma, anzi, un tempo in cui comincio ad avere un senso di me stessa e della mia autonomia. Prendo le cose a ridere. Viaggio, viaggiamo molto. Si fanno le prime vacanze insieme, tra donne, con la spinta nuova che parla di «Voglia di vincere delle donne» (Sottosopra verde), per le donne che avevano fino a quel momento rinunciato ad ascoltare i propri desideri.

Siamo in tante, in relazione. In questo modo prendo le distanze dai meccanismi sui quali si reggeva il PCI. Il Partito contava ancora ma contavano anche i rapporti tra di noi e un mondo femminile (il femminismo) che mi si apriva davanti. Io provavo a fare delle mediazioni tra i due luoghi; tra le iscritte e le non iscritte; tra le comuniste e le femministe.

E allora che ne era della rappresentanza?

Mi convinse il Sottosopra blu – giugno 1987 – «Sulla rappresentanza politica femminile, sull’arte di polemizzare tra donne e sulla rivoluzione scientifica in corso». Secondo me le donne dovrebbero comunicare apertamente il proprio desiderio di andare in parlamento ma non in nome del partito, del paese, dell’Europa.

Dunque l’idea della rappresentanza di sesso non mi convinceva.

Durante questa discussione, che tuttavia portò un alto numero di donne in Parlamento nel 1987, mi colpì, nel libro curato da Maria Rosa Cutrufelli, Le idee scritte intorno alla Carta, una frase di Mario Tronti, proprio riferita alla Carta e alle sue doti: «Non è un discorso astratto. In realtà una rottura…il maschile e l’umano non sono più la stessa cosa».

La mia storia rispetto alla Carta posso datarla negli anni tra il 1986 e il 1991.

Il 24 maggio 1986 c’è la manifestazione per “una coscienza del limite” dopo il disastro di Cernobyl. Io lavoro molto perché che riesca bene.

Tengo i fili del rapporto tra femministe e comuniste. Per la prima volta la responsabile femminile Livia Turco partecipa e sfila in una manifestazione di movimento. Secondo me è un segno del cambiamento.

È il PCI che deve cambiare. Altrimenti non si rende conto della novità rappresentata dalle donne. Nelle feste dell’Unità ci mescoliamo, femministe e comuniste. Non è un piano razionale ma si respira un’aria diversa. Quanto a me, non mi interessa in questa fase diventare parlamentare, ma confrontare idee, scambiare letture fatte, riflessioni che circolano. È un momento magico. Intanto Livia Turco, in quanto responsabile femminile, continua a trattare sul potere delle donne nel PCI. Così era sempre stato. E poi Livia era dalla nostra parte, dalla parte del femminismo.

Giuseppe Cotturri, allora dirigente del PCI, nel saggio Il genere della rappresentanza, scriveva: «Se assumiamo la differenza non c’è solo da vedere come è composta la rappresentanza, ma si apre la strada a una più radicale critica dell’idea stessa di rappresentanza, cioè di quella forma organizzativa del PCI». E ancora: «I movimenti delle donne sono dinanzi al medesimo problema teorico e pratico-politico: farsi contare, o farsi valere?». Io credo che le donne debbano essere tante e farsi valere.

Dopo “la svolta” un certo numero di donne se ne va. Anche le femministe si allontanano. Quelle a cui io sono più legata. Io sono contro la svolta che viene condotta in modo violento e con molta incuria. Anche rispetto alla Carta la proposta di eliminare le pagine degli obiettivi e di trovare una mediazione sulla nostra relazione non funziona.

Ma provo a restare nel partito e a mediare tra le idee del femminismo e quelle del mio essere stata comunista. Tuttavia, la divisione tra il sì e il no è più forte. Il mio e il nostro tentativo (della quarta mozione, dove un pezzo di donne della Carta provò a sottrarsi alla tenaglia) sono un fallimento.

Nel libro scritto assieme a Letizia Paolozzi Il taglio: due femministe raccontano la fine del PCI concludevamo: «Il 2 febbraio 1991, a Rimini, è nato il partito democratico della sinistra. Ora comincia un’altra storia». Il PCI chiude la sua vicenda ma senza una fase di riflessione e di lutto.

Silvio Berlusconi in questo vuoto (di cultura, di sapere sulla società, sugli individui, sulla differenza) ha la strada spianata. Il PDS e poi i DS e il PD mancano di cultura politica.

D’altronde, io non ho mai smesso di stare nel Partito. Nonostante vedessi che era in crisi, ho continuato a credere che ce l’avrebbe fatta, che sarebbe cambiato. In seguito ho sostenuto il congresso a Torino di Veltroni (“I care), che si rivolgeva ai cittadini e difendeva un sistema maggioritario. Qualcosa di quel congresso Renzi l’ha raccolta. Comunque, dopo Torino io e altre lavoriamo alla possibilità di far progredire il rapporto tra cultura liberale, cattolica, socialista e comunista. Con l’associazione Emily in Italia, nata nel 1998, a “imitazione” delle Emily’s list americana e inglese. Il nostro intento è sostenere, valorizzare, allargare la presenza femminile nelle istituzioni: in tutte le istituzioni. Non solo quelle della politica. «Quando le regole sono chiare sono tante le donne che vincono». Questo slogan è parte integrante di Emily e dei suoi obiettivi. Perché le regole sono così importanti?

Noi siamo partite, partiamo da una constatazione: dove si entra per concorso, le donne sono tante, spesso la maggioranza. Dove, invece, prevale la cooptazione, le donne diminuiscono, fino, in molti casi – alcuni consigli regionali, provinciali, comunali – a sparire.

In seguito, quando sarò in parlamento e anche quando non ci sarò più, mi occuperò molto della riforma della giustizia. L’avevo già fatto con la proposta di reintrodurre l’art.68 sull’immunità. Mi avevano che era una proposta individuale.

Quanto al gruppo della Carta, insieme non abbiamo prodotto più nulla. Molte sono tornate nel privato. Io mi sono ammalata. Altre mi sembra che non abbiano avuto curiosità di cosa stava succedendo nel femminismo. Ora facciamo questo lavoro tornando insieme (cosa che mi rende contenta). Senza l’idea di cambiare il mondo, ma di consegnare un’eredità alle giovani. Vediamo che cosa ne viene fuori.