Sono tornata a Instanbul dopo circa sei anni per ritrovare una città dove le donne velate sono aumentate in modo esponenziale. Continuerà a inquietarmi lo spettacolo delle ragazze velate in jeans, delle ragazze velate e avvolte in orribili pastrani fino alle caviglia e poi delle donne in nero con visibili soltanto gli occhi accompagnate da giovani uomini in maglietta leggera e maniche corte.Le serate trascorse avvolta nella lieve brezza marina nel giardino tra la moschea blu e Santa Sofia, farò fatica a dimenticarle. Ma farò anche fatica a togliermi dalla testa il simpatico via vai incessante di famiglie, di coppie, di donne e di uomini e il loro gran consumo di cocomeri, pannocchie arrostite, panini dolci, mele pelate e attorcigliate in modo divertente, palloncini per i bambini e frutta secca.
_ Continuerà però anche a inquietarmi lo spettacolo delle ragazze velate in jeans, delle ragazze velate e avvolte in orribili pastrani fino alle caviglia e poi delle donne in nero con visibili soltanto gli occhi accompagnate da giovani uomini in maglietta leggera e maniche corte.
_ Sono tornata a Instanbul dopo circa sei anni per ritrovare una città dove le donne velate sono aumentate in modo esponenziale.
_ Ricordo che la guida di allora ci fece attraversare un quartiere dove, ci disse, si erano rintanati gli integralisti islamici inconfondibili per le barbette degli uomini e le donne in nikab neri.
_ La loro intenzione era quella di fare proseliti e contrastare la laicitàn raggiunta dalla Turchia.
_ Ma non è esattamente un ritorno alla Vecchia Turchia di prima della rivoluzione di Ataturk, quella raccontata con tanta sensibilità dallo scrittore Orga Irfan nell’autobiografico “{Una famiglia turca} “ (ed. Passigli). Si tratta forse di quel bisogno di identità collettiva in un mondo “liquido” che anche ai turchi genera insicurezza e paura. Tocca sempre alle donne essere con i loro corpi simboli forti e sicuri tari per le debolezze maschili attraverso le regole delle religioni.