Sarà presentata il prossimo 22 giugno a reggio Emilia una indagine condotta da Parsec, che mappa 909 organizzazioni e ne intervista 118 in tre regioni (Emilia Romagna, Lazio e Calabria). L’indagine mette in luce una realtà ricchissima e multiforme, fatta di realtà mononazionali, plurinazionali, interculturali, di strutture grandi, medie, piccole e piccolissime. “La cosa difficile all’inizio è comunicare con gli altri, con le altre, e dire: anch’io sono una donna, come voi, anche se magari porto il velo”. Naim Ghita non aveva nemmeno vent’anni quando è arrivata in Italia nel 1991, frequentava ancora la scuola superiore. Poi il viaggio dal Marocco all’Italia, la nuova casa in provincia di Reggio Emilia, il matrimonio, cinque figli, e l’impresa che all’inizio le pareva impossibile: imparare una lingua sconosciuta, cominciando con un taccuino in cui annotare le parole da usare al supermercato, poi farsi delle amiche e ricostruire un’intera vita in un paese lontano.
Oggi Naim è presidente del FODEC, {Forum donne per l’equità e la cittadinanza,} e il 22 giugno parteciperà a Reggio Emilia al [seminario->http://www.cnca.it/comunicazioni/terzo-settore/1910-risorse-di-cittadinanza-le-associazioni-di-immigrati-tra-vincoli-e-opportunita] organizzato dall’[Associazione Parsec->http://www.parsec-consortium.it/] e il [Centro Interculturale Mondinsieme->http://www.mondinsieme.org/] , con il sostegno di [Open Society Foundation ->http://www.opensocietyfoundations.org], per presentare [Risorse di cittadinanza->http://www.parsec-consortium.it/images/Risorse_di_Cittadinanza_web.pdf] , ricerca nazionale sull’associazionismo migrante realizzata a 10 anni di distanza dall’ultima rilevazione in Italia.

L’indagine condotta da Parsec, che mappa 909 organizzazioni e ne intervista 118 in tre regioni (Emilia Romagna, Lazio e Calabria), mette in luce una realtà ricchissima e multiforme, fatta di realtà mononazionali, plurinazionali, interculturali, di strutture grandi, medie, piccole e piccolissime.
Pur soffrendo di gravi ristrettezza in termini di risorse, riuscendo spesso a stento a garantirsi una sede per le attività, le associazioni svolgono una quantità di attività supplendo di fatto alla scarsità (o l’assenza) di servizi per l’integrazione dei cittadini e delle cittadine straniere in Italia: l’insegnamento dell’italiano, l’assistenza legale, l’informazione su diritti e doveri, l’animazione culturale, la promozione di eventi religiosi. Un ruolo del tutto speciale, in questo quadro, svolge l’appartenenza di genere, capace di unire le donne oltre i confini di nazionalità, etnie e religioni.

E’ il caso dell’associazione di {{Naim Ghita}}, che racconta: “La prima cosa per noi è stata l’identità femminile, il bisogno di risollevare la dignità femminile. Nella nostra associazione ci sono anche donne molto giovani. Il nostro intento è mischiare le generazioni, dare sostegno alle seconde generazioni. Tra noi si trovano mamme e figlie. E le figlie delle nostre amiche ci chiamano ‘zie’. Perché appena vedono la luce queste bambine vedono noi intorno a loro”.
L’associazione è nata da poco, dopo circa due decenni da quando Naim e le sue amiche, che sono marocchine, tunisine, algerine, egiziane, siriane, sono arrivate in Italia. Vent’anni che però non sono passati invano.
“E’ come se l’associazione fosse nata già matura. Se l’avessimo fatta prima forse non sarebbe stata la stessa cosa. Avremmo avuto dentro tanta, troppa rabbia. I primi anni ti senti umiliata dagli altri, e questo non ti incoraggia a fare le cose. Invece in questo tempo di vita in Italia abbiamo conosciuto tante associazioni, anche di donne, nella nostra città, e questo ci ha dato forza e ci ha fatto cambiare atteggiamento. L’associazione è nata con un’idea di tolleranza, perché ora siamo sicure di noi, sappiamo che possiamo farcela tutte insieme”.

Un occhio particolarmente premuroso va alle nuove arrivate, quelle donne che non conoscono ancora nessuno, che restano nascoste nelle case, verso le quali si attiva una trasmissione di saperi tra generazioni sia anagrafiche sia d’anzianità d’immigrazione. “Facciamo anche alfabetizzazione per le donne che non hanno mai studiato e non sanno l’italiano. Andiamo a cercarle queste donne, l’associazione l’abbiamo fatta proprio per avvicinarle. Da sole non sapevamo da dove cominciare, mentre ora è più facile. Ci sono anche minorenni tra le donne che incontriamo, che soffrono. Noi le invitiamo a unirsi a noi e a cominciare a parlare”.

L’esperienza del {{Fodec}} conferma il dato di fondo che emerge dalla ricerca { {{Risorse di Cittadinanza}} }: il ruolo essenziale di cerniera che svolgono le associazioni nel rapporto tra le comunità migranti e il territorio, nei rapporti con le altre organizzazioni, le istituzioni, i servizi, e il contesto più allargato di accoglienza. Le associazioni, rivela la ricerca, hanno conoscenze e competenze nel contatto con le popolazioni straniere che le istituzioni spesso non hanno.
Dovrebbero quindi essere valorizzate dalle stesse istituzioni come preziose “antenne” sul territorio. Non sempre è quello che accade: l’attenzione discontinua da parte delle istituzioni e il livello molto differenziato di supporto che proviene dagli enti pubblici nei diversi territori sono i temi che costituiscono il cuore delle osservazioni critiche della ricerca e delle raccomandazioni che ne derivano.
In particolare, lo studio realizzato da Parsec indica alcune risposte alle debolezze strutturali dell’associazionismo, come la creazione di albi facilmente accessibili e di reti strutturate, una programmazione di politiche di sostegno a livello governativo, la disponibilità di spazi comuni in ogni Provincia, la formazione e il rafforzamento delle competenze per le persone che guidano queste organizzazioni.
Di certo, la professionalizzazione gioverebbe molto alle associazioni femminili mono- o plurinazionali che, in alcuni territori, operano come unico vero punto di contatto delle donne migranti con la società di accoglienza.
Fodec assume questa missione con una specifica consapevolezza di genere, e nel tentativo di facilitare la vita alle donne che sono arrivate dopo, risparmiando loro le molte “sofferenze” vissute dalle fondatrici in prima persona, intende trasmettere un sapere collettivo che è prima di tutto conoscenza di sé: “abbiamo imparato a dire: noi siamo qui.
Se la donna è la metà della società noi dobbiamo far vedere questa metà, che è in grado di esprimere le sue opinioni, di raccontare le cose, di prendere delle decisioni… Noi combattiamo una mentalità secondo cui la donna pensa con i sentimenti e non con il cervello. E invece no, lei è in grado di fare con il suo cervello cose che l’uomo non può fare”.

È con ottimismo che Naim guarda al futuro suo e delle donne che come lei hanno imparato a vivere in Italia e a sentirsi italiane. Dalla sua terra d’adozione viene la nuova Ministra per l’Integrazione, Cécile Kyenge. “Intanto io ogni volta che vedo una donna in un Ministero sono felice, anche se non so chi è. E lei per di più è di origine straniera. E’ molto bello sapere che anche noi, che siamo immigrate qui, possiamo lavorare per il paese, per farlo andare avanti, non solo essere aiutate da questo paese”. D’altronde, conclude, basta averne l’opportunità, perché certo non manca la volontà.
“Nessuno vuole danneggiare il paese dove vive. Un uccello non danneggia mai il suo nido, se non arriva un tornado che lo porta via. Gli uccelli lo proteggono. E così siamo noi, siamo venute in Italia e l’aiutiamo. Abbiamo imparato a vivere in questo paese, vi abbiamo cresciuto i nostri figli, e ormai siamo parte di lui”.