A Roma si è svolto lo scorso 27 agosto un sit-in davanti all’ambasciata britannica per chiedere la concessione del diritto d’asilo permanente per Pegah Emamabakhsh. La portavoce del Commissariato ONU per i rifugiati invita la Gran Bretagna a ritornare sulle proprie decisioni ma fa sapere che il regolamento “Dublino 2” permette all’Italia di assumersi la responsabilità del caso. L’appello per un sit-in davanti all’ambasciata britannica a Roma lanciato da Arcigay ed Arcilesbica congiuntamente al Gruppo Everyone è rimbalzato nei giorni scorsi attraverso la rete, tra siti, blog e mailing list. E così in tanti e tante si sono ritrovati/e a manifestare per chiedere alle autorità britanniche di fermare la deportazione della lesbica iraniana Pegah Emamabakhsh, fuggita dal proprio paese per scampare alla sorte già toccata alla propria compagna – la tortura ed una condanna a morte per lapidazione – che si è vista rifiutare il diritto d’asilo dalla Gran Bretagna.

Alla protesta hanno aderito diversi partiti (Sdi, Ds, Verdi, Rc, Pdci, Sinistra Democratica) ed associazioni (tra le quali l’Affi, e l’UAAR). La ministra {{Pollastrini}}, in un messaggio rivolto ai/alle partecipanti al sit-in ha fatto sapere che che l’espulsione dei Pegah, che sarebbe dovuta avvenire oggi 28/8, è stata, per il momento, rimandata. Ma permane l’incertezza sulla sorte della donna. L’appello lanciato da Arcigay, Arcilesbica e Gruppo Everyone chiede alle autorità britanniche la concessione dell’asilo permanente a Pegah, e la portavoce dell’Alto Commissariato per i rifugiati (Unhcr), {{Laura Boldrini}}, sostiene che dalla Gran Bretagna ci si aspetta “il riesame del
caso sulla base della pubblicità che la storia di questa donna ha avuto,
che crea nuovi elementi di pericolo per lei in patria e la rende ancor più bisognosa di protezione, o la sospensione dell’espulsione e la concessione di un permesso umanitario”.

La concessione dello status di rifugiato per chi è perseguitato per il proprio orientamento sessuale, ricorda Boldrini, è infatti garantito dalla Convenzione di Ginevra (vedi, nel sito, il comunicato del Gruppo Everyone). “Lo stesso è previsto da alcune direttive Ue e dalle linee guida della commissione nazionale per il diritto d’asilo del Viminale che
recepisce l’interpretazione dell’Unhcr sulla persecuzione per motivi di
genere”, persecuzione riconosciuta “non solo in presenza di condanne penali ma anche di
discriminazioni tali da rendere la vita intollerabile”- nota ancora la portavoce dell’Alto Commissariato ONU – e quindi tanto più in presenza di un rischio così concerto come quello che grava sulla vita di Emamabakhsh.

Ma anche la richiesta della concessione dell’asilo politico o di un permesso umanitario per Pegah da parte dell’Italia si fa sempre più pressante. Il ministro per la solidarietà sociale, Ferrero, dal sit-in di ieri ha rinnovato il proprio impegno in questo senso. L’arcigay, in un comunicato stampa seguito alla protesta, ha invitato il Presidente del Consiglio Prodi ha prendere una posizione ufficiale a nome del governo. Boldrini ha riferito che l’Unhcr ha accolto molto positivamente l’interessamento dell’Italia al caso, ed ha ricordata che {{negli ultimi due anni in 40 hanno ottenuto dall’Italia lo status di rifugiati (sembra che tra loro non vi sia però nessuna donna)}} per le discriminazioni e persecuzioni subite nei paesi d’origine a causa del proprio orientamento sessuale.

La possibilità di trasferire Pegah Emamabakhsh in Italia è d’altra parte garantita, secondo Boldrini, dal regolamento “Dublino 2” che “prevede la facoltà per gli Stati di fare
‘opt in’, assumersi cioé la responsabilità di un caso specifico anche
senza averne diretta competenza. Nel caso di Pegah infatti la competenza è
della Gran Bretagna perché è lì che è stata presentata domanda di asilo (…)
E’ sufficiente che l’Italia si dichiari disposta ad esaminare la
concessione del diritto di asilo e che la Gran
Bretagna conceda il trasferimento della donna nel nostro Paese”.