l 30 gennaio, la riforma elettorale è approdata in Aula alla Camera. Alcune modifiche sono state concordate, ma, mi interessa focalizzare quei due punti che, pur entrati nel dibattito, non sono stati accolti: la garanzia di poter eleggere uomini e donne secondo le regole di una necessaria, quanto civile, democrazia paritaria e la possibilità di garantire, ad ogni persona, la scelta del o della candidata presente in lista.Dagli ultimi accordi è rimasto fuori quel principio, sacro alla giurisprudenza, che prevede che ogni legge in un sistema democratico debba rivolgersi a tutti/e -cittadine e cittadini – e non a gruppi o a lobby di interessi. Insomma, non una legge inter partes, ma erga omnes.
Se questo disegno di legge passerà così, lascerà – per l’ennesima volta – incompiuta la Democrazia, non solo quella partecipata ma anche quella formale.

Se chi ha fatto della politica la propria professione non vuole ridurre a lumicino l’Italia deve{{ votare quegli emendamenti proposti dalle parlamentari per garantire la parità di genere}}. Non si può pensare che una scelta così importante venga lasciata, in esclusiva, all’arbitrio dei partiti caratterizzati, come sono, da un forte patto monosessuato maschile!

L’altro punto riguarda la{{ possibilità di scegliere chi eleggere}}. E, su questo nodo, le posizioni sono traversali anche al genere. Per tanto, la battaglia potrebbe essere spostata dall’aula parlamentare alle scelta di ogni singolo partito o movimento. Verrebbero utilizzate le primarie per scegliere i nomi da inserire nelle liste. Sempre che i partiti siano dell’idea di farle.
Se così fosse, si lascerebbe alle persone, anche se indirettamente, la possibilità di decidere chi votare.

Sarebbe interessante però che {{le primarie non fossero cosa opzionale,}} ma facessero parte di quelle regole riconosciute e garantite da una normativa istituzionale.

Molto si è detto sulle {{liste bloccate}}: una imposizione dall’alto, una garanzia contro il voto di scambio, un necessario contenimento dei costi della politica….
Chi legifera però, nel formulare norme che servono a definire la partecipazione civile alla vita pubblica ha quasi sempre un atteggiamento diffidente. Perché? Incapacità di ascolto? Lontananza dalla gente? Sospetto per chi non si conosce?…
E, invece, perché non pensare che la politica sia cosa buona e necessaria? Perché non pensare che l’ascolto prevalga sulla prevaricazione? Perché non pensare che l’oculatezza nel gestire le risorse prevalga sullo spreco?
Forse le risposte attraverso comportamenti concreti arriveranno quando le donne avranno il loro giusto spazio nella gestione della cosa pubblica!