Non farò nomi. Né di chi si buttò qualche anno fa da una finestra dell’ospedale, perché l’età molto avanzata non gli dava l’autonomia necessaria per uscire di scena in un altro modo, né di chi in questi giorni ha potuto usare gli strumenti che aveva per soffrire di meno nel passaggio stretto fra la vita e la morte. Non farò quindi nemmeno il nome di quell’uomo di 95 anni che, {{il giorno prima di morire, cercò di suicidarsi}} con un sacchetto di plastica nascosto nel cassetto, cercando di stringerlo con la cannula del respiratore. Non era malato, se non di vecchiaia, solo da qualche mese aveva bisogno dell’ossigeno ma, per usare la sue parole, era ancora in grado “di andare in bagno da solo”. Non era vedovo, ma dopo 50 anni di matrimonio, il rapporto con la moglie, vecchia quasi quanto lui e molto più malandata, non era certamente tale da riempire la vita. Aveva anche due figlie, due nipoti e una pronipote, tutte lontane, anche se non di molto, ma {{per un uomo della sua generazione nessuno di questi rapporti era vissuto come “responsabilità verso qualcuno”.}} Diventate adulte e autonome le figlie, la responsabilità era rimasta attiva nei confronti della moglie, ma la presenza di una “badante” ormai da qualche anno, più necessaria a lei che a lui, ne stava riducendo il peso, di quella responsabilità. Anzi la “badante” era a volte causa di futili litigate, echi di un conflitto, che aveva attraversato tutto il mezzo secolo del matrimonio, antico quindi, e mai sopito.

Non voglio entrare nei dettagli. Mi basta dire che il tentativo fallì, perché {{non ebbe la forza di stringere il laccio e, prima di soffocare, chiamò}}. La moglie, nel letto accanto, con uno scatto impensabile in situazioni normali, gli tolse il sacchetto e lo salvò. Durante il giorno non ne parlarono. Ma la mattina dopo una crisi respiratoria gli permise di morire. Non so se, altrimenti, avrebbe ripetuto il tentativo, né posso sapere se gli sarebbe o no riuscito.

Nel dibattito di questi giorni mi ha colpito negativamente {{la corsa a giudicare, a valutare, a disquisire,}} ma mi ha colpito anche la dicotomia fra due approcci: quello di ha ragionato e scritto in termini di diritti, e quello di chi ha privilegiato l’argomento delle relazioni. Da una parte diritto contrapposto a dovere, dall’altra senso di responsabilità contrapposto a egoismo.

Non è così semplice. Sono convinta da alcuni anni che{{ la trama della vita nostra e altrui migliorerebbe se intrecciassimo “regole leggere” e “relazioni forti”}}. Mai le une senza le altre: mai, soprattutto, quell’intreccio fra “regole pesanti” e “relazioni deboli” che sembra essere caratteristica del nostro presente.

Quell’uomo di 95 anni aveva visto, nel corso degli anni, {{indebolirsi le relazioni su cui si era fondata tutta la sua vita}} e nessun richiamo al dovere o alla responsabilità avrebbe potuto ridare loro forza.
E, simmetricamente, non avrebbe potuto fare questo nessuna delle persone in relazione con lui.

Degli altri non so. E anche di lui, altro non posso dire.
{Di ciò di cui non si può parlare occorre tacere} ({{L. Wittgenstein}}).