Sono fra coloro che si asterranno nella prossima consultazione referendaria. Fin da quando se ne è cominciato a parlare ho sostenuto che oltre alle valutazioni di merito (sono orrende sia la legge elettorale in vigore che quella che risulterebbe dall’approvazione dei quesiti referendari) c’è da fare una valutazione politica che riguarda lo stato di salute del referendum come strumento democratico.
L’ultima consultazione referendaria in cui è stato raggiunto il quorum risale al 1995. Non contano i referendum costituzionali, che non prevedono quorum.

Si può dire che il referendum come strumento di democrazia è stato a poco a poco percepito come inutile: il mancato raggiungimento del quorum non è stato tanto l’effetto di campagne politiche mirate, che pure ci sono state, ma del fatto che queste campagne si sono incontrate con un progressivo astensionismo.
_ Prima di avviare una raccolta di firme, su qualunque oggetto, va affrontato questo problema. Il mancato raggiungimento del quorum il 21 giugno può aiutarci. I punti qualificanti da modificare sono questi:

{{Abolizione o almeno riduzione del quorum}}. Una norma viene abrogata se ottiene un voto in più del 50% dei voti, quando a votare va almeno il 50% degli aventi diritto, quindi quando ottiene un voto in più del 25% degli aventi diritto.
_ Si potrebbe trovare una formula che valorizzi un risultato analogo, quando il numero dei votanti è percentualmente inferiore, ma il numero dei favorevoli all’abrogazione fra i votanti è superiore.
_ Per capirsi, nel primo referendum sulla caccia partecipò al voto il 43%, di cui il 92% si espresse contro la normativa in vigore. Per l’abrogazione votò quindi quasi il 40%, molto di più di quel 25% di cui sopra.

{{Divieto di campagna astensionista}}, in quanto violazione della segretezza del voto: il fatto stesso di andare a votare diventa una presa di posizione.
_ Proviamo a pensare cosa sarebbe successo se (paradossalmente, perché il referendum era di segno opposto) la Chiesa avesse fatto una campagna astensionista al primo referendum, quello sul divorzio.
_ Le tante donne che votarono nel chiuso della cabina “secondo coscienza”, difendendo il segreto del loro voto, si sarebbero “dichiarate” semplicemente andando o non andando a votare. Questo è sicuramente accaduto nell’ultimo referendum sulla legge 40. Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare che, in base a un’analisi del voto si siano registrati valori più alti di astensione nei piccoli centri, quelli in cui al “controllo sociale” è più difficile sfuggire.

{{Modifica (aumento) del numero di firme da raccogliere}}. Questa può essere una modifica complementare alla correzione del quorum, per evitare referendum su argomenti scarsamente condivisi. Ma le più importanti sono le prime due.

{{Breve storia dei referendum abrogativi}}

{{Premessa}}. Nessun referendum è stato mai vinto da coloro che avevano proposto i quesiti e raccolto le firme relative (salvo le eccezioni che vedremo e cercheremo di spiegare). Nessuna legge importante è stata mai abrogata con referendum. Ripercorriamo dunque la storia di questi 30 anni.

– 1974 – {{Divorzio}}. La legge viene approvata nel 1970, il referendum abrogativo si svolge nel 1974. E’ il primo referendum: l’istituto era previsto nella costituzione, ma la legge attuativa viene approvata proprio per consentire alla Dc (e alla Chiesa cattolica) di raccogliere le firme per l’abrogazione della legge sul divorzio. Nonostante la campagna martellante degli abrogazionisti (secondo una curiosa tesi di Fanfani, grazie al divorzio, le mogli sarebbero scappate con altre donne…) il 59.3% dei votanti (87.7% degli aventi diritto) si esprime per il mantenimento della legge.

– 1978 – {{Ordine Pubblico}} (Legge Reale, contenente norme restrittive approvate in clima di lotta al terrorismo brigatista, ma che colpivano il movimento e le espressioni di dissenso, soprattutto perché ampliavano fino all’impunità la difesa del comportamento delle forze dell’ordine in servizio) e {{Finanziamento pubblico ai partiti}}. Con la stessa alta partecipazione al voto (81%) è interessante il diversissimo risultato: schiacciante la maggioranza (76.5%) in difesa della legge Reale, a un mese dalla morte di Aldo Moro; più esile (56.4%) quella che mantiene il finanziamento ai partiti, abrogato 15 anni dopo. Il Paese, che si è stretto intorno allo Stato nei giorni del sequestro di Moro, si identifica molto meno con i partiti.

– 1981 – {{Aborto}}. Della legge 194, approvata nel 1978, viene chiesta l’abrogazione parziale con {{due distinti quesiti}}: uno che la vuole modificare in senso restrittivo (firme raccolte per iniziativa del Movimento per la Vita), un altro che la vuol modificare liberalizzandola (firme raccolte dal Partito radicale). Alta la partecipazione al voto (79.4%, comunque meno della percentuale dei votanti alle politiche e alle amministrative in quegli anni). La legge regge al duplice attacco: l’88.4% respinge l’ipotesi “liberalizzante”, il 68% quella restrittiva.
{{Ordine pubblico}} (legge Cossiga, che inaspriva la legislazione antiterrorismo), {{Ergastolo e Porto d’armi}}. Anche questi tre referendum vedono la sconfitta dei proponenti: l’85.1% difende la legge Cossiga, l’85.9% quella che regola la concessione del porto d’armi (il risultato positivo del referendum avrebbe modificato in senso restrittivo la norma che consente il porto d’armi fuori della propria abitazione), il 77.4% ritiene ineliminabile la pena dell’ergastolo dal sistema giudiziario.
_ E’ la prima volta che i quesiti referendari sono su materie diverse. Accanto a una parte dell’elettorato che vota distinguendo quesito per quesito, per molti e molte c’è un effetto trascinamento: in questo caso a trascinare è il referendum sull’aborto. La legge viene difesa dalla sinistra (anche contro il referendum radicale). Ma questa sinistra è la stessa che difende la legislazione d’emergenza ritenendola efficace contro il terrorismo.

– 1985 – {{Scala Mobile}}. Promosso dal Pci, dopo una modifica (a danno dei lavoratori) della legislazione che ancorava le retribuzioni all’aumento del costo della vita. La modifica aveva ottenuto l’assenso di Cisl e Uil, contraria la Cgil. La norma resiste con il 54.3% dei voti contrari all’abrogazione (77.9% i votanti).

– 1987 – {{Nuclear}}e. Non essendoci nessuna legge che autorizza(va) o meno la costruzione di centrali nucleari, le firme erano state raccolte su tre quesiti che riguardavano norme la cui abrogazione avrebbe reso tale costruzione di fatto impossibile (p.es. dando potere di veto ai Comuni nel cui territorio si dovesse costruire). La raccolta (per iniziativa degli ambientalisti) si era svolta nei mesi successivi al disastro di Chernobyl (1986). La fine anticipata della legislatura aveva fatto saltare la prima data fissata per il referendum (primavera 1987), ma, nell’autunno, i risultati sono ancora favorevoli a chi vede nel nucleare una scelta pericolosa.
_ La percentuale dei votanti continua a scendere (65.1%); due delle tre norme vengono abrogate con l’80% circa dei consensi, mentre la terza, che impedisce all’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero, viene abrogata con una maggioranza più contenuta (71.9%). Quest’ultima norma verrà poi sistematicamente violata. Anche in quest’occasione i quesiti referendari sono su argomenti diversi: in questo caso i referendum di trascinamento sono questi sul nucleare, {{i primi in cui vince chi li ha promossi.}}
_ {{Responsabilità civile dei giudici e Commissione inquirente}} (per i reati dei ministri). Siamo alle prime battute di due vicende che ci hanno accompagnato fino ad oggi, sia pure con protagonisti diversi. Lo scontro politici-magistratura e quello contro l’immunità dei politici. Sulle due norme abrogate con referendum (80.2% di voti favorevoli all’abrogazione della prima, 85% per la seconda) ci saranno successivi interventi parlamentari, che in qualche caso saranno accusati di aver contraddetto il responso referendario.

– 1990 – {{Caccia e pesticidi}}. E’ il primo referendum in cui i portatori di interessi che si ritengono lesi dall’eventuale successo degli abrogazionisti, giocano la carta dell’astensione, fanno propaganda astensionistica. Sono ovviamente i cacciatori (e le loro organizzazioni, anche di sinistra) e gli agricoltori che non intendono rinunciare all’uso dei pesticidi. Gli ambientalisti non riescono a fare il bis del successo del referendum precedente: fra i votanti, si esprime per l’abrogazione delle norme più del 92% (oltre il 93% nel caso dei pesticidi), ma a votare va poco più del 43%. {{Quorum non raggiunto.}}

– 1991 – {{Preferenza unica}}. E’ il primo dei referendum elettorali. Riduce da tre a una le preferenze nelle liste per l’elezione della camera dei deputati. Viene promosso e sostenuto con la motivazione di rendere più difficile il controllo del voto dei scambio. Apre in effetti la strada all’introduzione del sistema maggioritario, ma in tanti/e, in troppi/e non se ne accorgono. Tutti i partiti, meno il Psi di Craxi, sono favorevoli. Va a votare il 62.5% degli aventi diritto e il 95.6% si dichiara per l’abrogazione delle tre preferenze. {{Vincono quindi i proponenti}}: in questo caso, con il senno di poi, è importante non tanto la norma abrogata, quanto il processo di riforma elettorale che viene messo in moto.

– 1993 – {{I quesiti sono 8}}, questi i più importanti:
_ {{Leggi elettorali Senato}}. Segue la serie dei referendum elettorali. Vota circa il 77% degli aventi diritto: per l’abrogazione l’82.7%. Si introduce il sistema maggioritario per l’elezione del Senato: pochi mesi dopo verrà modificata in senso misto la legge per l’elezione della Camera.
_ {{Finanziamento partiti}}. A un anno circa da Tangentopoli, e con l’assenso di quasi tutte le forze politiche, la norma viene abrogata, con il 90.3% di voti favorevoli. Il finanziamento verrà poi reintrodotto sotto forma di rimborso spese elettorali.
_ {{Uso personale droghe leggere}}. Per l’effetto trascinamento dei due referendum precedenti, viene abrogata la pena della detenzione per chi fa uso personale di “droghe leggere”. La maggioranza è comunque molto inferiore (55.4%).
_ {{Abolizione Ministeri}}. Sono tre quesiti che riguardano i Ministeri delle Partecipazioni statali, del Turismo e Spettacolo e dell’Agricoltura. Passano con percentuali diverse (nonostante tutto, le persone ragionano, prima di votare…). Mentre l’eliminazione delle Partecipazioni statali viene confermata dalla successiva serie di privatizzazioni, il Ministero dell’Agricoltura verrà poi reintrodotto come Ministero delle Risorse agricole.
Anche stavolta {{vincono i proponenti}}, ma, come due anni prima, i partiti sono tutti a favore (Psi forse no, ma si stava sciogliendo…).

– 1995 – {{I quesiti sono 12}}: un record. E’ {{l’ultimo referendum in cui viene raggiunto il quorum}}, sia pure di stretta misura. C’è un nesso fra il calo della partecipazione e il numero e l’eterogeneità dei quesiti? Per la prima volta i risultati non si differenziano solo per l’entità della maggioranza: in 5 casi la norma viene abrogata, in 8 risulta confermata. Vediamo solo quelli relativi all’argomento più importante:
_ {{Televisione (c.d.legge Mammì).}} Si tratta di abrogare alcune delle norme contenute nella legge che fissa il duopolio televisivo, detta le regole per la raccolta della pubblicità, e consente (si era agli inizi) l’invasività delle interruzioni pubblicitarie. Il largo fronte di sinistra che aveva raccolto le firme, perde la partita: la legge si salva con il 56% circa di voti favorevoli. I votanti sono il 58.1%: sembrano pochi, e lo sono, ma negli altri referendum di questa tornata vota poco più del 57%.
_ {{RAI}}. Sempre in materia radiotelevisiva l’oggetto del referendum è una norma la cui abrogazione rende possibile avviare la privatizzazione della RAI (54.9% di voti favorevoli).

– 1997 – Nessuno sembra far tesoro degli indicatori di “disaffezione” di due anni prima. {{I quesiti sono 7}}, gli argomenti quasi altrettanti; viene ripresentato uno dei quesiti anticaccia di 7 anni prima.
Ci sono certamente gruppi portatori di interessi che puntano all’astensione, ma il calo dei votanti ormai progressivo fa la sua parte. Se nel 1990 il referendum anticaccia era fallito perché aveva votato solo il 43% degli aventi diritto, adesso va a votare solo il 30%. {{Quorum non raggiunto.}}

– 1999 – {{Quota proporzionale}} (nelle elezioni della Camera). Un solo quesito, nel solco della campagna per rafforzare il sistema maggioritario. Dovrebbe riuscire, ma non è così. Fra i proporzionalisti di sempre e coloro che comunque non ritengono corretto fare delle riforme elettorali l’asse della trasformazione del sistema politico, {{gli astensionisti prevalgono}}, di misura (vota il 49.6%). Se si fosse raggiunto il quorum, avrebbero prevalso i promotori del referendum: si pronuncia per l’abrogazione il 91.5%.

– 2000 – {{I quesiti sono 7}}, fra cui il precedente, riproposto (il mancato raggiungimento del quorum non ne fa un quesito bocciato), uno per abrogare la {{nuova forma di finanziamento dei partiti}} (rimborso spese elettorali), tre relativi alla {{magistratura}}, uno per abrogare {{l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori}}.
Il fronte di coloro che puntano a far fallire il referendum è variegato, ma ampio. Va a votare il 32% circa: {{quorum non raggiunto}}.

– 2003 – Due quesiti, contro le {{servitù di elettrodotto}} e per l’estensione del reintegro sul posto di lavoro, promossi rispettivamente dai Verdi e da Rifondazione comunista. Vota il 25% circa: {{quorum non raggiunto}}.

– 2005 – {{Legge n. 40, sulla procreazione medicalmente assistita}}. Sono 4 quesiti che mirano ad abrogare parti della legge, in particolare il divieto di utilizzare cellule embrionali per scopi terapeutici e di ricerca, le restrizioni nell’accesso alla procreazione assistita, che escludono i portatori di malattie ereditarie, la definizione del concepito come soggetto di diritto, il divieto di fecondazione eterologa. Ce lo ricordiamo, credo: la campagna astensionista è gestita in prima persona dalla Chiesa e vede schierate le forze politiche del centro-destra. Va a votare il 25.5%. {{Quorum non raggiunto}}.

– 2009 – Tre quesiti abrogativi di singole parti della {{legge elettorale approvata nel 2006}} dalla maggioranza di centro destra, legge proporzionale, ma fortemente maggioritaria (oltre al premio di maggioranza prevede uno sbarramento del 4%) e che non prevede possibilità di scelta da parte dell’elettorato all’interno delle liste. I quesiti non riguardano né lo sbarramento, né le preferenze, anche se una parte della campagna dei sostenitori del Sì tende a far confusione su quest’ultimo punto. Le preferenze, ricordiamo, erano in realtà scomparse, nelle competizioni politiche, fin dal passaggio al sistema uninominale, cioè dal 1994. {{Quorum?}}