Durante la tre giorni ABC della precarietà organizzata a Firenze, presso l’associazione Giardino dei Ciliegi, con le Acrobate e la Società delle Letterate, Corrente Alternata ha organizzato lo spazio di discussione di sabato 30 Novembre dal titolo Re-sister. L’incontro voleva riprendere i fili intrecciati negli incontri che, da alcuni anni, Corrente Alternata sta portando avanti a Firenze e a Barcellona: in particolare, abbiamo scelto di utilizzare le parole lasciateci in “patrimonio” dalle donne e dagli uomini che hanno preso parte al Laboratorio di Aprile 2013. Abbiamo deciso di portare avanti le riflessioni e le discussioni interrotte nella passata primavera e di riproporle in forma di parole chiave alle persone presenti all’ABC della precarietà. La differenza di età e di provenienza, ci hanno fatto ben sperare che le parole chiave avrebbero permesso di confrontarsi sui temi che ci interessano, ovvero come si può, in un contesto di precarietà lavorativa, condividere e costruire con altr* strategie e forme di alternativa politica. Abbiamo chiamato l’incontro Re-sister, ma perchè abbiamo voluto dare questo titolo al nostro laboratorio?

La creazione di Corrente Alternata ci ha dato modo di osare, di riflettere su ciò che ci stava accadendo, ci ha consentito di desiderare altre situazioni, di provare a crearne di nuove e di tentare strategie alternative e nostre di stare dentro e fuori dal lavoro. Così Corrente Alternata, sebbene ponesse al centro delle nostre vite la disaggregazione che il contesto lavorativo stava avendo, era ed è un elemento nutritivo sia della nostra dimensione politica che di quella personale.

Per questo nella tre giorni “ABC della precarietà”, abbiamo chiamato il laboratorio Re-sister: ovvero attuare resistenza attraverso la relazione fra di noi. Dal momento della sua creazione ad oggi, ci siamo impegnate nell’informarci e nell’informare sui cambiamenti del lavoro, ma anche nel confrontarci con chi era interessato a farlo, con chi viveva i mutamenti del lavoro con una qualche insofferenza che, quando veniva condiviso, si faceva per tutt* noi riflessione politica.

Dal 2011 ad oggi abbiamo dato ai nostri incontri annuali una dimensione più intima, più personale, dove era possibile mettere in atto uno scambio di esperienze, dove era fattibile discutere sulle nostre quotidianeità, sui nostri desideri dove il tempo, lo spazio e soprattutto le nostre comuni affinità davano voce a ciò che nelle altre e negli altri trovava spazio di conflitto, corrispondenza e riflessione. Negli ultimi laboratori [leggi sul nostro blog] abbiamo collegato i nostri incontri trasferendo il patrimonio di esperienze e dei racconti fatti da un appuntamento ad un altro. Mettendoci in relazione fra i partecipanti e anche al di fuori degli appuntamenti creati da Corrente Alternata. Come è accaduto con il gruppo “primum vivere di Firenze” o con le donne dell’associazione “il Giardino dei ciliegi” e della “Cooperativa delle donne di Firenze”.

Mettersi in relazione non è certo facile. Mettersi in relazione necessita di tempo, di un non dare per scontato, e si attua là dove vi è rispecchiamento e affinità. Come è venuto fuori in uno dei gruppi dentro il laboratorio Re-sister, mettersi in relazione è il più delle volte fatto di fatica, perchè vi è relazione se vi è autenticità e non è sempre, purtroppo, possibile essere autentiche in questo mondo.

Ma la scelta di riprendere i fili dell’ultimo laboratorio che organizzamo al Vivaio del Malcantone il 14 e 15 Aprile 2013 (guarda su nostro blog) ha rappresentato per noi una modalità di proseguire il confronto e di continuare la scelta di metterci in relazione.

Abbiamo ripreso le parole che erano venute fuori da una dinamica sulla mappa del tempo. Disegnando una geografia dei contratti lavorativi dal 1999 ad oggi, insieme alle leggi e politiche delle donne, avevamo chiesto alle presenti di collocarsi nominando il tipo di contratto lavorativo o se non in situazione di lavoro, la condizione “pubblica” che si trovava a vivere in quegli anni. Da quella dinamica venne fuori che fra tutte le presenti (eravamo circa 15 persone) solo due avevano un contratto a tempo indeterminato. Una delle quali appartenente alla generazione degli anni ’50 e quindi con un contratto dentro un Ente Pubblico. Tutte le altre, avevano lavorato e stavano tutt’ora lavorando con contratti precari. Alcune di loro avevano fatto la scelta di diventare madri nonostante non vi fossero le cosidette “normali” condizioni contributive per farlo. Dalla mappatura scaturì un’intensa discussione che mise in luce aspetti di criticità delle norme di pari opportunità e della loro reale applicazione. Si parlò, cercando di tenere insieme sia la dimensione pubblica (delle norme, dei servizi) che quella personale (equilibri familiari di coppia e generazionali). Non fu semplice, ma è da quella discussione che vennero fuori le parole chiave riproposte dentro “l’ABC della precarietà”, che riassumevano sia elementi problematici che, a nostro avviso, di futura potenzialità.

Le parole scelte sono state:

NOMADISMO/MOBILITA’

AUTOBIOGRAFIA/IDENTITA’

RETI /RELAZIONI

CORPO/DESIDERIO/PIACERE 

POLITICO/AUTODETERMINAZIONE

 All’inizio dell’incontro abbiamo chiesto alle presenti di collocarsi rispetto alle parole e di avviare una prima discussione personale per poi condividerla con i/le partecipanti al proprio gruppo. A tutti e cinque i gruppi è stato chiesto di discutere della propria scelta con gli altri e di scegliere un portavoce che avrebbe riportato in plenaria le conclusioni e gli aspetti che ritenevano più importanti per il tema del proprio gruppo.

Così dalle discussioni di gruppo è venuto fuori che per alcune delle donne che si sono confrontate sul tema del nomadismo/mobilità, esiste una profonda differenza tra i due termini, che possiamo esemplificare con il rapporto con i confini: se il nomadismo si configura come un superamento dei confini, talvolta addirittura come un loro abbattimento, mentre la mobilità non rimanda a situazioni positive, di apertura, di evoluzione, è solo una forma di attraversamento temporaneo, che lascia intatto lo stato di cose presenti. Solo là dove si possono collegare la parola nomadismo a quella di desiderio ci troviamo in una dimensione di positiva leggerezza, di potenzialità, di esplorazione. La parola nomadismo/mobilità evidenzia, sempre e comunque, uno stato di incertezza che nella società contemporanea si traduce nell’affanno ad una mobilità paradossale perché continua e sempre connessa.

Nel gruppo autobiografia/identità la discussione si è incentrata sul sempre più sentito desiderio di disidentificazione dal lavoro e di identità non fissa che alimenta tale sentire. Per le partecipanti la parola identità deve essere inserita in tutte e cinque i gruppi.

Dal gruppo reti relazioni è emerso che le relazioni che abbiamo sono a tempo, ovvero sempre di più per alcun* di noi – e soprattutto per quelli che hanno un’età compresa fra i 40 e i 50 – la rete amicale o quella politica si è profondamente modificata: perchè la costituzione di nuclei familiari con figli non prevede la presenza di donne o uomini da soli se non sporadicamente, ma non certo per situazioni di condivisione, scambio e confronto. In altri casi, gli amici si sono trasferiti in altri paesi o, in altri ancora, semplicemente le cose sono cambiate e si è diventati adulti, che significa non avere più interesse politico o per il territorio. Alcune delle donne del gruppo reti/relazioni lavorano nel sociale e ci hanno raccontato della fatica di un contesto professionale precario che pretende e non restituisce. Le relazioni vengono definite dentro il gruppo come strategiche, fondamentali, come un segno di qualità della propria vita. Tale aspetto valoriale è composto anche da un altro opposto, ovvero che le relazioni necessitano per la loro costruzione e per il loro mantenimento di fatica, di tempo, di mettersi profondamente in discussione.

C’è anche chi ha parlato di rete come web equiparandolo a un non luogo, a uno spazio atemporale in cui ci si perde e ci si isola credendo di essere totalmente in relazione o semplicemente in contatto con tanti altri. Ma abbiamo anche parlato di come oggi stentino ad avere una corrispondenza le relazioni politiche con quelle d’amore. Guardando al passato, le relazioni amicali, di coppia avevano anche una forte dimensione politica, che investiva la stessa sfera dell’affettività, per tale ragione erano più costruttive, più funzionali, alimentavano più facilmente il personale politico. Guardando al futuro, per il gruppo la coincidenza fra politico e vita può venir sostituito dalla rete di relazioni che ogni persona riesce a costruire.

Nel gruppo corpo/desiderio/piacere si è parlato di corpo come mezzo per entrare in relazione con gli altri/le altre e quindi come mezzo pronfondamente politico. Ma anche corpo come desiderio e allo stesso tempo come finitezza. Per tutt* la visione di un corpo che rimanda a una dimensione di desiderio è patrimonio del femminismo. La politica è lo spazio del desiderio in cui oggi appare come guastata e con esso la rappresentazione dei corpi che in essa agiscono. Nel gruppo ci siamo chiesti se il lavoro può costituire piacere. Sí, dicono le presenti, se vi è un investimento di senso. Cosa succede se si investe in altro dal lavoro? Ma l’emozione e i lavoro non sono una cosa unica. La persona e quindi il suo corpo possono dare vita a questo collegamento. Corpo: importanza di ciò che mi appartiene, il mio corpo come tramite per muoveri, interagire, relazionarmi; sentire provare, il riconoscimento del proprio corpo. Desiderio come la spinta più profonda, per raggiungere un piacere: piacere di fare, di saper fare, piacere personale come obiettivo finale.

Nell’ultimo gruppo si è parlato di dimensione politica che per alcuni “non è mai individuale” e che non si può parlare di autodeterminazione. La dimensione politica, poi, conduce o ha al suo interno sempre l’azione, l’agire. Ma nonostante tale aspetto, per il gruppo la politica fatica a diventare pratica in questa epoca.

Alla fine della restituzione ci siamo soffermate sul contributo del gruppo politico/autodeterminazione perchè alcune delle presenti non si rivedevano nella lettura di limite data al termine autodeterminazione, ma anzi e proprio come patrimonio del femminismo anche di quello recente, con la parola autodeterminazione si voleva designare un bisogno del singolo, delle donne in particolare di contrapporsi alla visione dominante definita da alcune patriarcale,. E’ stato fatto l’esempio del gruppo “le inconciliabili” nato dentro gli stati generali della precarietà 2.0 a Roma in cui si parlò per la prima volta di welfare familista e di reddito di autodeterminazione come reddito preteso e rivendicato dalle donne per molto del lavoro non riconosciuto che, dentro le proprie case e le proprie relazioni, viene fatto. E poi sempre rispetto a questo gruppo si è detto che anche la dimensione di riflessione, di non azione, è politica. Si è accennato ai nascenti gruppi di autocoscienza che dopo Paestum sono sorti.

A conclusione della mattina trascorsa insieme, abbiamo ripercorso i termini che più di altri sono venuti fuori. Questi sono stati desiderio e non lavoro.

Sarà un caso?

Alla fine del Laboratorio ciascuna donna ha potuto

collocarsi dentro la rosa dei venti scrivendo il proprio

nome nell’intersezione, fra ogni parola chiave proposta.

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