Perché diamo certe notizie è il titolo di un sommesso, condivisibile editoriale del direttore della Gazzetta di Mantova comparso domenica 10 ottobre. Lo spunto è il dossier-collage di articoli sulla famiglia Marcegaglia pubblicati da altre testate, diffuso da il Giornale; l’editoriale di Enrico Grazioli dice della “necessità di informare” tenendo fede al patto con i lettori, “del dovere di rappresentare il più a fondo possibile la realtà […] valutando il peso che la notizia può avere”.

“Valutando”, appunto, “il peso che la notizia può avere”, la questione che noi poniamo è: {{Perché la stampa dà ‘certe’ notizie in un ‘certo’ modo? }} Come spiegare, ad esempio, che per quattro volte in una settimana, la Gazzetta ha costruito, con titoli da ‘pugno nello stomaco’, la sua prima pagina dando rilievo assoluto a notizie destinate a suscitare emozioni, paure, diffidenze, curiosità morbose su fatti certamente gravi rispetto all’esistenza privata delle persone coinvolte, ma poco significativi per comprendere la ‘realtà reale’ della città, della provincia, del Paese tutto?

{{Caratteri cubitali in prima pagina}} per {Ragazzina col ladro in casa}. Al telefono con la madre lo fa arrestare dai carabinieri (giovedì 7 ottobre). Dove il potenziale ladro è stato visto e messo in fuga da una coraggiosa tredicenne mentre armeggiava tentando di forzare il cancello d’ingresso (naturalmente esterno) di una villetta di Sermide.
Più clamore ancora per Partorisce e getta la figlia in lavatrice. La bambina è salva. I genitori arrestati, il padre tenta il suicidio (domenica 10 ottobre, proprio sopra al bell’editoriale del direttore). Un fatto certamente drammatico, ritenuto oscuro dallo stesso giornalista che ne scrive all’interno, in decima e undicesima, due pagine interamente dedicate. La bambina non era stata “gettata”, ma “nascosta”, il che non attenua le responsabilità degli autori di un gesto tanto criminoso quanto tragico. Due disperati, due squilibrati in ogni caso, le cui tre figlie meritano pietà, riguardo, riservatezza. E invece compaiono a caratteri cubitali in prima pagina anche lunedì 11 ottobre {(L’orrore davanti alle due sorelline. 14 e 11 anni hanno assistito al parto e all’abbandono di Rosa}) e martedì 12, sempre in prima e con estrema evidenza, ma un po’ più in basso ({Rimasta due ore in lavatrice. La neonata ha rischiato di morire. In carcere anche la madre}).

{{Effetto insicurezza ottenuto}}. Raccapriccio, allarme, rabbia nei lettori; oltretutto in entrambi i casi dalla parte dei cattivi sono cittadini non italiani (e per fortuna il giornale, a differenza dell’altro quotidiano locale, non lo sottolinea nel titolo, ma lo ripete negli articoli ). “In che mondo viviamo?” si saranno chiesti, ancora una volta, in molti. Pensandoci un po’, altri articoli, negli stessi giorni e all’interno dello stesso giornale, ci aiutano meglio a capire{{ il nostro piccolo mondo di provincia globalizzata}}; suscitano riflessioni e speranze, preoccupazione e interrogativi seri. Il 7 ottobre, con altro titolo, meritava forse la prima pagina Morte del bracciante, processo da rifare, dove si informano i lettori del colpo di spugna con il quale la Corte di Cassazione ha annullato la mite sentenza della Corte d’Appello di Brescia, grazie alla quale era stata dimezzata la condanna di primo grado per Mario Costa e la moglie per un caso di sfruttamento irresponsabile e criminale.

Il 10 {{ci sarebbe piaciuto vedere in prima due notizie che sono in dodicesima}}: Valletta e Te Brunetti. Sodano sposa il progetto lanciato dall’Arci e Apre il Centro studi di criminologia. C’è anche una sala per l’ascolto dei minori. Entrambe riguardano davvero la sicurezza dei cittadini, le reti di relazione che salvano e danno qualità alla vita di ogni giorno, il sostegno agli anziani e ai giovani. E fanno intravedere anche che{{ le barriere politiche, di fronte all’intelligenza del fare e del progettare, possono diventare secondarie}}. Oppure, volendo fare sensazione, si poteva costruire una prima pagina sull’articolo laterale – In 6 lo picchiano a sangue perché è un veronese –, che suscita un sentimento d’angoscia ragionante facendo intravedere ai lettori le derive estreme del micronazionalismo localista che avvelena una parte di questo Paese; micronazionalismo che, come uno scorpione, rischia di inoculare contro se stesso un supplemento di violenza razzista.
Meritava la prima pagina e non una colonna in dodicesima{ Lavoro, aumentano i morti «Serve più sicurezza}» (Gazzetta, 11 ottobre, pag.12), in cui si denuncia attraverso i dati Anmil (Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro) il numero, più che raddoppiato in un anno, di morti sul lavoro a Mantova. Così come, il 12 ottobre, le drammatiche carenze della sanità mantovana descritte in {Niente letti, pazienti in barella per 24 ore, invece della tredicesima}, avrebbero dovuto veramente occupare la prima pagina, con la forza di un grido d’allarme in difesa dei cittadini più fragili, i malati, e delle loro famiglie. Queste informazioni dovrebbero destare legittimamente scandalo, qui le responsabilità andrebbero severamente denunciate.

Certo, {{la tentazione di incrementare le vendite col dolore degli altri}} deve essere forte in un momento di crisi dell’editoria. Occorrerebbe un salto di qualità, nella stampa come nella politica, per costruire una rappresentazione della realtà che crei consapevolezza dei fatti che riguardano la vita di tutti, senso della responsabilità individuale, fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore attraverso l’impegno. La voce dei figli di Vijyai Kumar, che da tanto tempo non udiamo più; quella dei malati costretti a patire ore di attesa nei corridoi di un ospedale sovraffollato e insufficientemente dotato; quella delle famiglie dei lavoratori morti mentre facevano il proprio dovere possono creare emozioni ben più forti e vere dell’effimera quanto morbosa curiosità attorno alla storia estrema di una bimba non desiderata e di una famiglia disperatamente incapace di accoglierla. Lì occorrerebbero silenzio, attiva solidarietà e giustizia.