L’esperienza della regista e femminista svedese Mia Engberg che ha dato vita ad una produzione pornografica al femminile, dove i canoni da rispettare non siano quelli tipici del genere maschile, ma quelli, forse ancora non ancora emersi perché non ve ne è stata la possibilità fino ad ora, del genere femminile“ {In tutta la storia dell’arte, l’immagine della donna è stata creata dagli uomini. Lo sguardo è stato sempre quello di un uomo e la sessualità femminile è stata limitata a poche identità indicate dal sistema patriarcale (e dall’ego maschile artistico): puttana, moglie, madre, musa}.”

A pronunciare queste significative parole è stata la regista e femminista svedese Mia Engberg che ha ottenuto nel 2009 degli importanti finanziamenti per la realizzazione di “{[Dirty Diaries->http://en.wikipedia.org/wiki/Dirty_Diaries]}” (In inglese), un corpo di dodici cortometraggi pornografici, o meglio pornofemministi, dall’organizzazione statale che si occupa di produzione e distribuzione cinematografica.

L’idea nasce qualche anno prima: nel 2006 Mia porta a termine il cortometraggio{ Come Together}, girato con un telefono cellulare. Il filmato è concentrato sul viso delle donne nel momento in cui si masturbano, immortalandone così i momenti di piacere dipinti sul loro volto.
_ Tra le prevedibili polemiche scatenate dal corto, che ha registrato un elevato numero di visualizzazioni on line, ne è sorta una più fertile di altre che ha colpito la sensibilità femminista della regista e le ha suggerito di insistere su un modo inedito di dar voce alla sessualità, quella femminile, taciuta il più delle volte.

Uno dei commenti infatti riportava una certa sorpresa nel constatare che i volti delle donne del corto non sono affatto truccati, altresì erano stati ripresi nella loro dimensione più naturale e per nulla costruita facendo apparire la ragazze protagoniste delle immagini quasi ‘brutte’, in realtà semplicemente naturali.
_ Si, delle ragazze probabilmente affatto brutte nella realtà, erano considerate tali perché in un film erotico si esibivano in una versione non distante da quella di persone comuni, prive di quella ideazione artificiale dei corpi tipica della produzione pornografica.

In realtà ciò che ha colpito il pubblico di questi filmati non è tanto la dimensione casalinga, naturale e poco artificiosa, quanto la realizzazione di un prodotto visivo che incarna la visione della sessualità secondo parametri femminili.
_ E’ un caso rarissimo, se non unico, in cui si esprime il modo di produrre piacere (come dice Beatriz Preciado, la pornografia è una modalità di produzione di piacere) della soggettività femminile.
_ Di qui la regista ha capito l’importanza di dar vita a una produzione pornografica al femminile, dove i canoni da rispettare non siano quelli tipici del genere maschile, ma quelli, forse ancora non ancora emersi perché non ve ne è stata la possibilità fino ad ora, del genere femminile.

E dunque la sfida che la cineasta svedese si pone e propone ad altre registe è quella di dar vita a una specifica espressività creativa femminile, che si prefigge l’obiettivo di studiare come rappresentare la sessualità, il corpo, la sfera erotica secondo la percezione della donna.

La sessualità e il desiderio femminile non hanno avuto modo di esprimersi e, se non negli ultimi anni, comportando squilibrio e un senso di disorientamento nel genere maschile, sono state esperienze negate.
_ La sessualità femminile se è emersa lo ha fatto in funzione di quella maschile: alla donna è stato insegnato a desiderare ciò che gli uomini trovano desiderabile in una donna e non è stata abituata a riconoscere l’ambito del sesso come un luogo dove esercitare desideri, passioni, dove essere protagoniste: al contrario, il sesso ha rappresentato un luogo soggetto al solo controllo maschile che la donna era destinata a subire, spesso controvoglia.
_ Diversamente i rari casi di donne sessualmente attive si accaparravano lo stereotipo di donne deviate, strane, pazze perché donne che alteravano, o almeno tentavano di alterare, il modello di femminilità imposto come ‘naturale’.

In un campo storicamente egemonizzato dall’uomo, che forma ha il desiderio femminile?
_ E’ la questione a cui Mia Engberg tenta di dare seguito in {Dirty Diaries}, che dimostra essere un lavoro rilevante e considerevole proprio perché opera anche su un piano politico -ne è prova la redazione di un manifesto in dieci punti che tematizza la questione in modo puntuale e mordace- di restituzione al genere femminile di un’esperienza, quella del desiderio, del piacere e del controllo del proprio corpo culturalmente negata nella storia delle nostre società.