Sfogliando un’interessantissima rivista di viaggi, tra un servizio su Madrid e una bellissima fotografia del Nepal mi salta di colpo agli occhi una pubblicità di Roberto Cavalli. Un viso di donna, dagli gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, è afferrato con forza da una mano maschile che si insinua da un lato del foglio, le solleva leggermente il mento verso l’alto e le stringe l’intera faccia. Sul polso di lui un orologio dello stilista. Si intravedono le dita della donna che stringono il braccio maschile simulando il tentativo di sottrarsi alla morsa fatale.
_ Un’immagine di {{una violenza forte simbolica, ad alto impatto visuale}}, che rientra però a pieno titolo tra le tante, troppe pubblicità che ogni giorno sfruttano e offendono la donna. Niente di nuovo sotto il sole, quindi. Certo, sono migliaia le pubblicità poco rispettose della dignità delle donne, che ne ritagliano parti del corpo, ne ritoccano i contorni con sofisticate tecnologie digitali, ne eliminano le imperfezioni, ne risaltano la seduttività.

Il solito binomio “donne e pubblicità”: {{donne intrappolate in ruoli stereotipati che le rendono tali e quali alle merci da pubblicizzare}}, pubblicità che non ci fanno più né freddo né caldo. D’altronde restiamo ormai indifferenti di fronte a qualsiasi presenza femminile che ammicca, sorride, simula un orgasmo o si spoglia per attirare l’attenzione. Come tecnica di difesa dall’invasione mediatica di tali immagini non ci soffermiamo neanche più quasi a guardare. Dico quasi. Innanzitutto, perché la capacità comunicativa e le tecniche di seduzione pubblicitaria sono sempre più invasive e mirano a carpire lo sguardo di qualsiasi potenziale acquirente. In secondo luogo, ci sono delle immagini per cui non c’è anestesia mediatica che tenga, dinnanzi alle quali {{qualsiasi donna, consapevole del suo essere donna, non può che provare rabbia}} e senso di prevaricazione.

{{La brutalità della pubblicità di Cavalli tenta di rendere indefinito il confine tra piacere condiviso e sopraffazione}}. E ci riesce per via dell’espressione del viso della donna, che stretta dalla mano maschile sembra quasi compiacersene, invertendo il senso comune del dolore con quello del piacere. Confondendo l’abuso con il desiderio. {{La violenza con l’amore}}. La virilità con il fascino. Ma qualunque donna abbia mai subito quella mano sa che quel confine non è affatto labile. {{È l’antitesi ineluttabile tra sopruso e libera scelta.}}