Lo scorso 23 gennaio, presso la Casa Internazionale delle donne di Roma, con l’intervento di Maria Luisa Boccia, Chiara Lalli, Piergiorgio Donatelli e il coordinamento di Stefania Vulterini, c’è stata la presentazione dell’ultimo libro di Caterina Botti. Insegnante di Bioetica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Sapienza di Roma, impegnata fin da studentessa sui temi del femminismo e della bioetica, Caterina Botti ha già pubblicato saggi e libri sugli argomenti che riprende e approfondisce anche in questo ultimo lavoro.
Segue infatti un suo itinerario intellettuale chiaro: porre in evidenza, con esame accurato delle fonti teoriche e delle pratiche realizzate, il capovolgimento culturale realizzato nel capo della morale in genere dall’evidente intreccio tra femminismo ed etica/bioetica.

{{Il femminismo infatti, lottando contro la secolare discriminazione delle donne, supera lo stesso concetto di uguaglianza}}, sua prima rivendicazione e arriva “a porre il problema del trattamento delle differenze, ovvero di soggetti diversi, giungendo per questa via a porre una revisione della nozione stessa di soggetto (per sé e nella sua relazione con la morale), e quindi a offrire considerazioni che possono risultare interessanti per un ripensamento della morale in generale”.

Questo itinerario teoricamente non facile, soprattutto perché le donne solo raramente hanno avuto spazio nel mondo della ragione, è percorso da CaterinaBotti con la semplicità e la chiarezza di linguaggio tipica di chi intende farsi capire, creare relazioni significative; relazioni che, alla radice delle pratiche del femminismo anni ’70, sono qui indicate come gli strumenti di un possibile rinnovamento morale.

Il libro si divide in due parti.
La prima, riguardante{{ il pensiero femminista e la filosofia morale}}, si articola in tre capitoli il cui scopo è evidenziare il contributo del pensiero femminista alla riflessione in generale etica e in particolare bioetica.
La seconda motiva {{la forza e la complessità del contributo del pensiero femminista alla riflessione morale}} “ quando essa si articoli intorno ad alcune questioni che caratterizzano la nostra quotidianità …..” parte infatti ”dalla riflessione che è stata fatta e si può fare intorno all’aborto” e via via, attraverso la procreazione medicalmente assistita, i neonati prematuri, arriva ad analizzare la fine vita e il testamento biologico.

Se ci soffermiamo brevemente su come tratta un argomento sempre all’ordine del giorno, cioè l’aborto, possiamo capire molto anche degli altri argomenti in esame. Dopo una breve sintesi di un {{dibattito mai spento sulla legge 194}}, aldilà delle deboli posizioni difensive che gli sono state contrapposte, Caterina Botti affronta una questione secondo lei inedita ”{{la moralità dell’aborto e delle donne che lo praticano}}”.

Quindi, a partire dalla diffusa condanna morale dell’aborto, ripercorre tutti i luoghi comuni del discorso pubblico e privato, prospettando infine soluzioni diverse. Per esempio afferma che alla base della valutazione morale dell’aborto non sta il dibattuto conflitto tra vita del feto e libertà della donna, perché non si può considerare né la vita del feto né il suo valore morale a prescindere dalla madre, c’è invece la volontà di controllo sulla riproduzione da parte degli uomini e delle donne.

E la protervia maschile non sta nella inevitabile pretesa di controllare la potenza femminile nel campo della riproduzione, ma nell’ammantarla di presunti motivi morali. Bisogna quindi definitivamente mettere a tema il conflitto tra i sessi e la ineliminabile competenza femminile sull’argomento.

Mettiamo da parte le posizioni di conservatori e progressisti che in modo diverso legano il giudizio morale dell’aborto sempre allo statuto dell’embrione ed escludiamo quello biologico/scientifico staccato da una problematica morale come questa che “ci rimanda ad un universo discorsivo e presuppone una concezione filosofica del significato di “persona”, “del giusto e dell’ingiusto”.
Poniamo invece ” la ricostruzione della moralità – di questa come di altre situazioni – che parta in primo luogo da una considerazione relazionale della condizione umana, che consideri cioè che gli individui nascono, si sviluppano e vivono in reti di relazioni….che consideri che la moralità o la virtù degli individui si caratterizza nei termini del loro essere solleciti nei confronti degli altri con cui sono in relazione”.

Diventa così chiaro che bisogna partire da ciò che sentono le donne, non solo perché si tratta del loro corpo e della loro libertà ma proprio perché sono al centro di queste relazioni e del conflitto donna/uomo donna/embrione, non necessariamente per distruggere.
“ E’ proprio la posizione speciale della donna che fa si che gli interessi che si vogliono contrapposti siano da lei vissuti come in una tensione interna, che non può che renderglieli presenti e che proprio questa tensione faccia si che la sua scelta, lungi dall’essere moralmente irrilevante, possa e debba considerarsi una scelta moralmente responsabile.”

La novità dell’impostazione teorica proposta è stata approfondita dai partecipanti al dibattito e giustamente riportata a tutte le questioni bioetiche in questione.
In particolare {{Maria Luisa Boccia}} sottolinea la chiarezza della ricostruzione delle teorie e strategie femministe e del loro intreccio con le diverse teorie della filosofia morale.
Considera centrale l’orientamento che nell’opera si ridisegna per un vero cambiamento morale basato su relazioni nuove: ognuno di noi ha una percezione di sé e dell’altro che lascia “una zona opaca”: nel giudicare non ci possiamo fidare completamente né di noi né dell’altro.
Non è sufficiente disporsi verso l’altro ma bisogna operare su di sé per aprirsi all’altro, usando la categoria dell’immaginazione e i sentimenti per prevedere le conseguenze delle nostre scelte.
Si coniuga così l’etica della cura con le teorie sentimentaliste di David Hume nel tener conto dell’opacità per agire su noi stessi e fare scelte responsabili. Come nell’aborto la donna è un essere responsabile che deve ricomporre in sé la duplicità che è in lei, con la competenza data dall’ autonomia costruita non sulla contrapposizione ma sulla responsabilità, così ci si deve posizionare per tutte le questioni di bioetica.

Nel fine vita, per esempio, alla richiesta di chi soffre e vuole morire, tutti, parenti medici, personale sanitario, non devono essere distaccati, tecnici, scientifici, giuridicamente motivati; devono essere responsabili, coinvolti sentimentalmente e devono rispondere a questa domanda ”perché non soddisfare la richiesta di chi soffre assolvendo il compito per il quale sono predisposti, non far soffrire?

Anche il professor Pier Giorgio Donatelli conferma che l’etica femminista non è solo un contenuto dell’etica ma è un modo per ripensare l’etica.

{{Caterina Botti}}
{ {{Prospettive femministe
Morale, bioetica e vita quotidiana}} }
Ed espress
Euro 18