La vittoria del Sì alla depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza in Portogallo apre nuovi scenari, anche se il quorum non é stato raggiunto. L’impegno delle organizzazioni delle donne per una legge che garantisca davvero i diritti.“L’aborto non sarà più reato in Portogallo” ha affermato il primo ministro socialista José Socrates di fronte ai risultati del referendum di domenica 11 febbraio. A dispetto di un {{marcato astensionismo}} (solo il 43,6% degli aventi diritto si è recato alle urne), il Sim ha battuto il Não per 59,3% contro 40,8%. Ad {{oggi, l’aborto è legale solo in alcuni casi}}: pericolo di vita della madre, malformazioni gravi del feto, violenza sessuale. Anche nei casi previsti dalla legge, poi, il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza non è percepito come un diritto e numerosi ostacoli vi si oppongono.

Una donna che voglia ricorrere all’{{interruzione volontaria di gravidanza per altri motivi rischia, invece, fino a tre anni di carcere}}. Un fatto che permette alle reti clandestine di prosperare e favorisce il ricorso a farmaci venduti di contrabbando in grado di provocare l’aborto (50 euro in media per una dose) o, per le più fortunate, il viaggio in qualche clinica della vicina Spagna o di un altro paese europeo. Stime recenti calcolano che siano circa 20.000 gli aborti clandestini praticati ogni anno in tutto il paese, con conseguenze spesso terribili per la salute delle donne che vi si sottopongono: dalle malattie ginecologiche al rischio di sterilità e a quello di morte, causata da emorragie inarrestabili.

Questo {{referendum costituisce quindi un’occasione importante}} affinché il Portogallo possa dotarsi di una legislazione civile in materia, prendendo le distanze da quei paesi europei (Polonia, Irlanda e Malta) nei quali l’aborto è ancora un reato.

Ne abbiamo discusso con {{Liliana Azevedo}}, rappresentante della {Plataforma portuguesa para os dereitos das mulheres}, un’organizzazione non governativa indipendente nata nel 2004 per promuovere i diritti delle donne e l’integrazione delle politiche di genere nella società portoghese.

{{A conti fatti, qual è il bilancio di questo referendum?}}

Non bisogna dimenticare che il “democratico istituto del referendum” solleva numerosi dubbi non solo tra i ricercatori che studiano il fenomeno psico-sociale del diritto all’aborto e all’autodeterminazione delle donne, ma anche tra i cittadini che hanno una parte attiva nella vita pubblica. Uno dei problemi maggiori è la definizione del livello minimo di partecipazione per far sì che il risultato del referendum sia legale perché, come ognuno sa, le persone che si sentono sostanzialmente estranee ai contenuti di un referendum tendono ad astenersi, contribuendo alla drastica riduzione della partecipazione democratica. Detto questo, anche se la partecipazione non ha raggiunto il quorum, pensiamo che il margine dei Sì sia politicamente vincolante e giochi un ruolo politico importante a supporto dell’elaborazione di una legge adeguata.

{{Cosa è cambiato rispetto all’esperienza del 1998, quando il No aveva vinto di misura?}}

Rispetto al 1998 i cambiamenti sono stati molti, prima di tutto per quel che riguarda il livello di astensione che è radicalmente sceso (nel ’98 era stato calcolato intorno al 68% {ndr}.). Almeno un milione in più di elettori sono andati a votare e il Sì ha riportato una vittoria con un margine molto più grande che in passato. Il partito socialista, poi, è evoluto e in questa nuova campagna ha avuto una posizione chiara, mentre nel 1998 l’allora ministro Antonio Guterres aveva avuto una posizione molto ambigua a riguardo, astenendosi di fatto dalla mobilitazione per il Sì.

{{Il risultato ottenuto giunge al termine di una campagna agguerrita della destra conservatrice che, alleata con la chiesa cattolica, ha usato ogni mezzo per dissuadere le e i portoghesi dal compiere una scelta indispensabile per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione delle donne: dal negare semplicemente l’ampiezza del fenomeno, fino ad assimilare l’interruzione volontaria di gravidanza alla pena capitale. La campagna per il Sì come ha reagito?}}

La campagna per il Sì è stata ben strutturata e ha riunito persone provenienti da diversi luoghi e forme di pensiero, associazioni, partiti, cittadine/i. Siamo riuscite ad organizzare un consistente e contributivo movimento per interessare anche il passante distratto. La posizione della Piattaforma è stata di sostenere tutti i movimenti per il Sì nati durante la campagna. In gennaio, ad esempio, abbiamo stretto una collaborazione con il movimento dei cittadini e della responsabilità per il Sì, un appello alla mobilitazione internazionale che è stato gestito attraverso il nostro network europeo (la Lobby europea delle donne) per disseminare il più possibile le iniziative del movimento per il Sì.

{{Il governo socialista ha affermato di voler portare il tema in Parlamento dove ci sarebbero i numeri perché la depenalizzazione dell’aborto diventi legge. Quali sono le vostre rivendicazioni nel futuro progetto?}}

Vogliamo che la nuova legge garantisca l’accesso incondizionato a tutti i meccanismi e le misure per garantire l’esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne; vogliamo anche per tutte le donne e gli uomini un’efficiente sistema di informazione, di planning familiare e la realizzazione coordinata di corsi di educazione sessuale nelle scuole, affinché il ricorso all’aborto garantito e sicuro possa nel tempo farsi sempre più raro.

{{Resta il grave problema dei medici obiettori di coscienza che, rifiutando di eseguire il trattamento, rendono difficile se non impossibile alle donne di esercitare il proprio diritto. Come controllare questo fenomeno, in crescita anche in alcuni paesi dell’Unione europea?}}

Il ministro della Salute ha già denunciato pubblicamente questo fatto durante la campagna elettorale. Si fa allusione al fatto che alcuni dottori invochino l’obiezione di coscienza giusto per evitare di eseguire i trattamenti. Di fronte a queste mancanze il ministro ha assicurato che il Governo agirà alla luce del sole per garantire che a nessuna donna sia rifiutato l’aborto in nome dell’obiezione di coscienza del medico. Quel che è certo è che questo e altri temi riguardanti la legge oggi in vigore e quella che dovrà essere redatta, non potranno prescindere dalla partecipazione attiva e dal controllo delle organizzazioni non governative per i diritti delle donne.