Alcuni sostengono che un artista – scrive  Semenzato nell’introduzione al catalogo – ha sempre alla base della sua produzione un “grumo originale” che poi in un modo o nell’altro riaffiora in tutte le sue opere.

Di Burri si dice ad esempio che essendo medico chirurgo ed avendo attraversato la guerra ha fatto per tutta la sua vita lacerazioni e tagli (i cretti) e poi le cuciture (i sacchi cuciti).

Anche nei quadri di questa mostra – allestita al Castello Manservisi di Castelluccio e le cui opere sono riprodotte in questo catalogo – mi sembra di rintracciare un “grumo originale”  . A partire dal quadro di copertina, un clown a metà tra l’allegria e la tristezza, un po’ smarrito che conduce nei risvolti segreti della mostra. Ispiratore e guida in cui è facile percepire la trasfigurazione del padre/pittore. Ma poi è Daniela, figlia d’arte, quella che sogna.

Il titolo “Sognando Castellucccio” secondo l’autrice è nato un po’ per caso. In realtà mi sembra il filo conduttore dell’insieme delle opere in mostra e presenti in questo catalogo.

Il sogno è infatti quel meccanismo psichico che svuota la mente dai freni razionali, così che al pensiero è consentito vagare secondo libere associazioni di immagini ed idee.

Il sogno rimanda così spesso a quel grumo originario che per Daniela Pivetta sembra costituito da sensazioni e visioni della prima infanzia ed adolescenza, sensazioni e visioni che si fondono e confondono. Come spiegare altrimenti che quando si parla di acqua in montagna fa capolino anche un pezzo di gondola? Credo lo si possa capire solo sapendo che è nata a Venezia per poi vivere per lunghi periodi con la nonna a Castelluccio.

Appaiono così nei quadri degli archetipi, degli schemi originari probabilmente presenti nelle saghe della nonna, il vento pericoloso che piega le case, la neve che tutto copre, la scuola, il Castello, la torre che non c’è più.  Forse, non a caso, come nel più famoso esempio del “periodo blu” di Picasso viene usato proprio il blu per far emergere tristezza, freddo, un po’ di malessere.

I colori poi diventano  vivaci e la tavolozza si esalta tra gialli e rossi quando ricordi e sensazioni incrociano i campi di ginestre, le ortensie, la strada della biriccioccola dove – variante di cappuccetto rosso – andava a prendere il formaggio per la nonna e in generale emerge una dimensione rilassante nei quadri che rimandano alla sicurezza delle mura domestiche (in casa della nonna, nonna che legge, dalla finestra, ecc).

Si potrebbe dire che i quadri di Daniela Pivetta rimandano alla tecnica surrealista, dello spostamento di senso, una prativa che tiene con il naturalismo e verismo un dialogo serrato, che trasfigura la realtà senza però negarla. Anzi , se i due grandi filoni del surrealismo sono stati quello degli accostamenti inconsueti e quello delle deformazioni irreali, nel nostro caso i due percorsi si fondono, come nel caso di mare/montagna , Venezia/Castelluccio. Ne esce una situazione inedita, in cui realtà e fantasia si fondono in maniera feconda … e questo è quello che fa la bellezza di questa mostra.