“La publicité nous tire vers le bas. Ça suffit !” ( La pubblicità ci porta verso il basso! Basta!) Si chiama così la campagna contro il sessismo della pubblicità che Florence Montreynaud, insieme alla sua associazione Chiennes de Garde, conduce in Francia da molti anni. Ne ha parlato ieri in un incontro organizzato dalla Costituente della Casa Internazionale delle donne e coordinato da Rachele Borghi.

{{Florence Montreynaud,}} è una femminista, impegnata nel Mouvement des Femmes dal 1971. E’ autrice di numerose pubblicazione, tra cui un libro di più di 300 pagine dedicato ai termini usati per la definizione degli organi sessuali. A Roma ama rintanarsi quando si dedica alla stesura dei suoi lavori. In questo momento scrive le sue memorie di femminista e del suo impegno politico lungo più di quarant’anni, ma ha già in cantiere un altro progetto: un sguardo sul desiderio maschile e gli uomini che rifiutano la prostituzione.

L’incontro, che ha visto tutte le partecipanti diventare inaspettatemente protagoniste di un cerchio di discussione fecondo, ha avuto come tema {{il sessismo nella pubblicità}}, fenomeno che Florence combatte in Francia intensivamente da dodici anni insieme alle sue compagne attraverso azioni, manifestazioni e petizioni.

La violenza simbolica veicolata attraverso parole e soprattutto immagini di alcune campagne pubblicitarie è sotto gli occhi di tutti. In Francia come in Italia. Corpi di donne nude, spesso oggetto di violenza e sottomissione da parte di figure maschili, quando non semplicemente merce sessuale con riferimenti a stereotipi e ideologie maschiliste del tutto svincolate dal prodotto che pubblicizzano. {{“Pornografia in parole”}}, la chiama Florence, che inevitabilmente acquistiamo quando scegliamo quel prodotto.

{{La strategia messa in atto da [Chiennes de Garde->http://www.chiennesdegarde.com/]}} è quella di organizzare azioni di protesta nelle stazioni metropolitane e in altri luoghi pubblici dove sono affisse pubblicità che offendono la dignità femminile. Gruppi di donne che, a volto scoperto, pur essendo consapevoli di agire illegalmente, e armate di pennarelli colorati scrivono sui cartelloni pubblicitari “parole politiche di protesta”. Se una pubblicità ritrae una donna nuda, accanto viene disegnata una vignetta ironica con scritto “Ho freddo”, se la donna è legata, “liberatemi”. Il senso è quello di {{restituire la parola alle donne}}.

Ma la protesta non si limita a questo. Ai passanti e ai viaggiatori delle linee metropolitane viene chiesto di descrivere ciò che vedono: a quanti di noi è capitato di passare davanti ad un cartellone e non notare neanche il contenuto pubblicitario, ma inconsapevolmente incamerarne il messaggio subliminale? L’invito alla riflessione su ciò che si ha davanti diventa così l’occasione per la sensibilizzazione della gente rispetto a un tema così importante, grazie anche alla diffusione di documenti e opuscoli informativi.

Un secondo momento dell’azione prevede, invece, la stesura, da parte delle attiviste e con un lungo lavoro di elaborazione delle idee e delle forme, di {{lettere di denuncia}} indirizzate ai dirigenti delle imprese che pubblicizzano in maniera sessista i loro prodotti. Lettere che sono insieme dichiarazioni di boicottaggio all’acquisto e manifesti politici di una scelta ideologica. La spedizione via posta è anch’essa una strategia: il dirigente di turno, nel ricevere più lettere, dietro cui si nascondono più di mille persone arrabbiate per ciascuna, ha il senso materiale di ciò che sta comportando l’uso di quel tipo di messaggio pubblicitario e l’allarme si trasforma spesso in azioni risolutive. In metà dei casi fin ad oggi portati avanti le femministe di Chiennes de Garde hanno vinto e hanno ottenuto non solo la rimozione delle pubblicità sessiste, ma anche dichiarazione ufficiali che le varie imprese non ripeteranno l’errore.

{{L’Italia è forse il Paese in cui questo fenomeno tocca livelli più estremi}}, secondo Florence. A stupirla è soprattutto la dimensione spropositata delle gigantografie pubblicitarie che imbrattano i muri delle nostre città. E che rendono azioni come quelle portate avanti in Francia pressocchè impossibili. Ma le strategie possono essere tante e tutte valide.

{{Pina Nuzzo}} ha portato la testimonianza dell’UDI, che quest’anno ha organizzato, con il patrocinio della Presidenza della Repubblica, la campagna “[Immagini amiche->http://unionedonne.altervista.org/index.php/campagne/immagini-amiche.html]”, con lo scopo di sensibilizzare tutte le donne al monitoraggio della pubblicità e alla segnalazione di tutte i messaggi a sfondo sessista, ma anche di quelli connotati invece positivamente, che l’8 marzo hanno ricevuto un premio, patrocinato anche dal Parlamento Europeo. Per la II edizione dell’anno prossimo l’UDI è già al lavoro e propone l’apertura di tavoli di lavoro nazionali e locali con tutte le altre associazioni che desiderano aderire, al fine di costruire nuove forme di pratica.

Un organo atto a sanzionare le pubblicità che ledono la dignità umana in Italia esiste. Si tratta dell'{{Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria}}, il cui limite al momento è però quello di limitarsi al ritiro di campagne pubblicitarie già in circolazione, spesso su sollecitazione delle cittadine e dei cittadini, mentre sarebbe utile che avviasse un monitoraggio preventivo e adeguato di tutto ciò che viene prodotto. Una volta che viene denunciato, il messaggio sessista ha, infatti, già girato e il suo significato subliminale è stato incamerato inconsciamente da molti.

Insieme a quello di Pina Nuzzo gli interventi sono stati tanti. Tutti ricchi e spesso dai risvolti pratici. L’indignazione e la voglia di fare per combattere il problema sono peso urgente nella coscienza di molte. A preoccupare particolarmente sono {{le pubblicità rivolte ai più piccoli, alle bambine soprattutto}}, vittime sin dai primi anni di vita di stereotipi cui adeguarsi, principesse in rosa per lo più, ingannate da modelli inverosimili. In Svezia la pubblicità ai bambini è addirittura vietata. Florence e le sue compagne lavorano anche su questo aspetto: “{{Non à la putanisation de les petites filles!}}”( No alla puttanizzazione delle bambine).

Indignarsi è giusto e serve, ma non basta. Inventiamo forme nuove di protesta, prendiamo spunto da altre realtà, diffondiamo le nostre proposte. A cominciare da domani.