E’ certo che se nel nostro Risorgimento è esistito un discorso sulla nazione in grado di costituire un’area di senso condivisa ben oltre i circuiti letterari o politici, quasi una sorta di “romanzo popolare ad alta intensità emotiva” (per usare una felice espressione di Maria Teresa Mori), ciò è legato anche ad una ricca produzione poetica con valenze civili e politiche, di cui quella femminile rappresenta una parte rilevante{{
Inizialmente}} sono soprattutto delle “{{letterate}}” a parlare di patria nei loro versi: figure in qualche modo d’eccezione –visto il tasso di analfabetismo femminile allora esistente- nate a cavallo di due secoli, appartenenti a famiglie aristocratiche spesso filofrancesi o apertamente “giacobine”; i loro versi in genere non escono dai salotti se non per trovare pubblicazione in riviste letterarie, e comunque anche per i loro componimenti vale la regola della stampa all’estero o della circolazione clandestina.

Alcune pagano in prima persona il prezzo del patriottismo, come nel caso di {{Eleonora Reggianini}} di Modena, figlia di un ex-ufficiale napoleonico aderente alla cospirazione carbonara, che nel ’31 compone un inno per celebrare la sperata liberazione delle Romagne dal governo papale e che finisce in esilio al fallimento del tentativo insurrezionale.

Altre diventeranno importanti per la generazione successiva, come nel caso di {{Maria Giuseppa Guacci}}, nata a Napoli nel 1808 e morta appena quarantenne, che arrivò a meritare una citazione costante nella testata del {{primo giornale emancipazionista italiano (il periodico “La Donna”}}, fondato nel 1868). La Guacci compose, prima di una lunga serie, sia una canzone {Alle donne napoletane} che una {Alle donne italiane} senza contraddizione alcuna in una prospettiva per cui la patria era ancora l’unione delle piccole patrie. Si avvia con lei quello che diventerà un vero e proprio leit-motiv della poesia patriottica: il richiamo ad un preciso dovere femminile per la dignità dell’Italia, l’invito ad uscire dalla grettezza di una vita domestica chiusa, essa stessa segno della subordinazione della nazione; ed è forse questo motivo ad averla resa così importante, dopo l’Unità, agli occhi delle emancipazioniste, alla ricerca di figure femminili emblematiche del percorso compiuto.

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Tra il ’46 e il ’49}} la poesia ha {{una nuova, grande fioritura}}: l’elezione di Pio IX, le speranze di libertà e federazione, poi la guerra e l’esperienza delle repubbliche veneziana e romana valsero a intensificare come non mai la produzione poetica, dandole una maggiore valenza civile e politica. Legata più direttamente a episodi della vita cittadina o della guerra, la poesia è ora spesso consegnata alla circolazione mediante fogli volanti, composta in occasione di pubbliche celebrazioni, usata come inno nelle feste cittadine. E questo anche per le donne, sconosciute improvvisatrici o note poetesse che fossero: accanto a {{Elena Montecchi}}, autrice di un solo canto per {L’amnistia concessa dal sommo pontefice Pio IX}, abbiamo scrittrici “di chiara fama” come {{ Luisa Amalia Paladini}} e {{Caterina Franceschi Ferrucci}}.

Futura prima donna chiamata a far parte dell’Accademia della Crusca, partecipe delle speranze del ’48 al punto da voler partire per la guerra assieme al marito e al figlio, la giobertiana{{ Franceschi Ferrucci }} compone canti{ Alla gioventù italiana}, carmi come {Le donne italiane agl’italiani redenti } e alcune canzoni all’indirizzo del papa, anche se successivamente arriverà a condannare le scelte compiute da Pio IX in questa fase, spingendosi più decisamente sulla strada dell’adesione alla politica sabauda .

Nel ’48 era intanto emersa la singolare figura di {{Giannina Milli}}, nota come l’improvvisatrice della redenzione italiana. Anche dopo la caduta delle speranze della prima guerra d’indipendenza la Milli continuò a girare le città della penisola proponendo i suoi versi e sfidando le ammonizioni delle polizie locali: una sorta di pellegrinaggio poetico, fatto in compagnia della madre, in cui ogni tappa significava composizioni estemporanee e accademie pubbliche su temi civili, seguite in genere da uno stato di quasi catalessi da parte della poetessa.

Con {{la seconda guerra d’indipendenza}} e soprattutto con l’impresa di Garibaldi{{ i temi diventano più retorici e celebrativi}}. La patria è unitaria, grandi i suoi destini futuri; l’elogio va al binomio di personalità che sembra il vero artefice di tale processo, agli occhi di un moderatismo ormai vincente: Vittorio Emanuele II e Garibaldi.
_ Continua l’appello alle italiane, ma ciò che serve ora è soprattutto{{ una madre in grado di educare, con le sue virtù, i cittadini del nuovo stato}}.

E’ con questa valenza che si segnala anche la poesia femminile prodotta per l’annessione -in verità ben poco gloriosa- del Veneto al Regno, e ovviamente in particolar modo nell’area appena liberata: una serie di poetesse che fanno spazio ai nomi di {{Erminia Fuà Fusinato}}, di {{Enrichetta Usuelli Ruzza}} e {{Eugenia Pavia Gentilomo Fortis}}. Su foglio volante il carme {A Venezia} della moderata Fuà Fusinato vede un segno della volontà divina nel fatto che sia il nipote di chi consegnò la città allo straniero a restituirla grande e libera all’Italia; però con la precisazione: “No, non ti dona alcun; tu sol ti doni // ai tuoi parenti”. Diventano progressivamente prevalenti i componimenti sul ruolo femminile nel nuovo stato: dall’ {Avvenire della donna} della {{Milli}} a {Canzone alla donna} della cattolica{{ Anzoletti,}} dalla {{Poesia della donna}} della {{Fuà Fusinato }} a {Quale dev’essere la donna} ancora della stessa{{ Milli}}.

La partecipazione femminile alla sfera pubblica, di cui la poesia patriottica era stata una tra le più vivaci manifestazioni, si va incardinando sempre più stabilmente in una dimensione etica e soprattutto educativa: come {{madre all’interno della famiglia}} o {{madre “vicaria” nella nascente scuola italiana}}.

{immagine}: busto di Giannina Milli da www.lamegliamori.wordpress.com