Come già sta accadendo in Canada e in Inghilterra la strategia dei gruppi fondamentalisti è quella di accreditare il doppio binario della legge occidentale e della sharia, da applicare nel caso di dispute dentro l’enclave musulmana.Perdita, parola chiave attraverso la quale leggere la debolezza che mi pare venga manifestata oggi da pezzi collettivi di società e da singole persone nell’affrontare l’emergenza dell’assalto al corpo delle donne, la violenza familiare, la pervasiva commercializzazione delle relazioni umane, la relativizzazione delle analisi e della politica, che si traduce, nella realtà recente, in sentenze etniche giustificatorie della barbarie patriarcale (se sei sardo e stupri una donna hai un’attenuante perché la tua tradizione vede la donna come proprietà del maschio) e nello stesso tempo nella {{benedizione da parte di pezzi di femminismo e di sinistra di uno dei simboli religiosi e tradizionali più violento: il burka}}.

Perdita, non come l’opposto a vincita, ma {{come contrario di conservare}}, custodire, acquisire, accedere.
_ Pare che, mentre il patrimonio di saperi, diritti tradotti in leggi e crescita collettiva costruiti grazie al femminismo del ‘900 è arrivato, almeno in parte e seppure in modo superficiale, alla generazione che oggi ha superato i quarant’anni, improvvisamente ora stia rischiando {{una drammatica interruzione di trasmissione}}.

Rottura di comunicazione espressa con la {{rinuncia a offrire l’eredità collettiva politica costruita in cinquanta anni}} di movimenti per l’emancipazione, la liberazione e l’affermazione della fertilità della differenza sessuale, e la paura di entrare in conflitto con le giovani generazioni, specie con le donne e gli uomini migranti.

{{Perdita, non consegna di un guadagno collettivo}} sul quale lavorare insieme, per aggiornarlo, farlo lievitare ancora e ancora, attraverso inclusione, aperture, rompendo barriere e muri.
_ Questa interruzione è motivata da stanchezza, fatica, disillusione, rifiuto e riflusso (dalla politica tradizionale e da quelle presuntamene alternativa) o magari, per alcune, dall’agio finalmente acquisito?
_ Queste, forse, e molte altre sono le motivazioni che possono avere contribuito alla {{cesura generazionale}} che oggi ci mettono di fronte all’assuefazione acritica del fenomeno delle veline, o di quello speculare delle velate, senza gli scandali o i rumori di un tempo.

Ma mentre la sinistra, e {{pezzi (quelli che restano) di femminismi}} riescono forse ancora a dire qualcosa sulla mercificazione dei corpi, quella della società televisiva e quella del violento e schiavista mercato dei migranti, (che per le donne in particolare significa la doppia segregazione del lavoro di cura delle nostre famiglie, e la tratta di carne da letto sulle strade per i maschi dominanti), {{poco, e male, si riesce a dire sulla guerra che si sta combattendo sul corpo femminile}}, che vede la vigorosa connessione tra patriarcato e credo religiosi integralisti, e in particolare sulla ‘libertà’ delle musulmane di scomparire, nelle strade italiane, dietro la discreta prigione del velo, fino alla cancellazione fisica e politica del burka.

Mi domando quanto poco importanti e autorevoli siano considerati i frutti delle lotte per i diritti e la cittadinanza sessuata dalle stesse donne che li hanno conquistati, per sé stesse e per le altre (spesso anche per gli uomini), se di fronte alla violenza del razzismo, per paura di esservi assimilate, arretrano nel considerare alcuni diritti come universali e inviolabili.

{{La destra}} preme l’acceleratore sul sentimento (fondato) di paura che inquina la società, additando come unici responsabili della crescente violenza i migranti, e invoca misure speciali? E allora, per paura di cadere nella trappola del razzismo, ci si pone a testuggine difendendo per reazione qualunque barbarie provenga dal mondo migrante, accreditando comunque le voci più integraliste, perché giudicate più radicali e antisistema (forse per un atavico senso di colpa dovuto all’essere nate nella parte fortunata e ricca del pianeta, macchiatasi delle forme più odiose di colonialismo e imperialismo)?.

Per fare un esempio recente, prima della sentenza giudicata da alcune ‘intelligente’ sulla libertà di indossare il burka, alcune posizioni sono slittate nel relativismo più odioso {{giustificando la ‘puntura simbolica’ da praticare in Italia negli ambulatori al posto della infibulazione}}. Ma non è lo {{stesso ragionamento relativista che ha mosso il giudice tedesco}} nel caso del violentatore sardo, che invece tutto il mondo politico ha stigmatizzato?

Secondo questo modello multiculturale , lo stesso che sta guardando di buon occhio in Europa e in Canada la possibilità di {{doppio binario legislativo per le comunità musulmane}} (la sharia accreditata accanto alla legge secolare) perché i rappresentanti delle comunità cinese in Italia non dovrebbe chiedere che sia applicata la pena di morte, per reati che li coinvolgano, visto che in Cina questa pena esiste?

{{Quando abbiamo smesso di pensare?}} chiede {{Irshad Manji}} ai musulmani mentre invita la sua gente ad assumersi la responsabilità del terrorismo, prima ancora che giudicare l’infedele, lei lesbica femminista credente nell’Islam.

{{Quando abbiamo smesso di pensare, noi femministe occidentali}}, quando per non affrontare il presente di guerra di civiltà che ci viene imposto e che si gioca anche e soprattutto a partire dalla colonizzazione dei corpi femminili da parte delle religioni, in particolare quelle monoteiste, affermiamo che la burka è una scelta di libertà da difendere?

Non era e non è, il pensiero critico femminista, uno strumento con il quale destrutturare e smantellare le connessioni che legano il patriarcato e le religioni, per liberare donne e uomini dalla schiavitù degli stereotipi e del destino legato ai ruoli sessuali, al possesso e al potere di un genere sull’altro? Dove è finita la forza del pensiero critico, che arretra e balbetta di fronte alla religione e alle tradizioni delle ‘vittime’?

Attenzione: ci invitano le sorelle di cultura musulmana del [Women living under muslim laws->http://www.wluml.org/]. L’introduzione di concessioni legali alla burka e i suoi derivati è ciò che i gruppi fondamentalisti presenti nelle comunità occidentali stanno cercando di ottenere.
_ Come {{già sta accadendo in Canada e in Inghilterra}} la strategia dei gruppi fondamentalisti è quella di accreditare, supportati dal dilagare del passpartout del multiculturalismo, il doppio binario della legge occidentale e della sharia, da applicare nel caso di dispute dentro l’enclave musulmana.

Quello che abbiamo di fronte, se non si argina la visione multiculturale, e non si comincia a {{affrontare il vuoto di relazione tra migranti e native}}, trovando alleanze soprattutto con le donne (e gli uomini al loro fianco) che stanno lottando per la secolarizzazione e per la loro liberazione, è un solo plumbeo orizzonte: l’avallo della logica della legittimazione dell’enclave separata (ogni comunità si faccia i suoi affari, che tradotto nel nostro caso significa che gli uomini di quelle comunità decidano come e se far partecipare le proprie donne alla vita sociale, o respingerle nello spazio privato delle mura domestiche, senza cittadinanza e diritti sociali collettivi) e la {{rottura della possibilità di un terreno comune di laicità condivisa}} nella quale la libertà delle donne sia l’indicatore principale della civiltà, una civiltà dove i corpi sono liberi e non ingabbiati dalla parola del padreterno, (comunque si chiami), che in molti luoghi della terra è ancora oggi legge dello stato.

Condannare le donne alla libertà del burka è un ossimoro oltraggioso per chi ha lottato per la felicità politica e individuale delle donne, tutte le donne.
_ E’ una perdita di senso e di orizzonte della politica che non ci possiamo permettere, né noi occidentali, né le donne e gli uomini migranti, né le generazioni di donne e uomini che stiamo allevando.