Pubblichiamo l’introduzione del libro “Perché non abbiamo avuto
figli. Donne “speciali” si raccontano” scritto da Paola Leonardi. Un libro che propone tante riposte
alla domanda che molte donne che non hanno fatto la scelta della maternità si sono sentite rivolgere: perché
non sono diventate madri e, ancor più spesso e con maggior stupore, come
mai non abbiano avuto nemmeno il desiderio di diventarloPer anni c’è stata una cartella viola sul mio tavolo da lavoro, con una
bella etichetta non qualunque, con scritto “L’altra madre. Il valore della
maternità simbolica”, dove riponevo appunti e materiali che andavo raccogliendo sul tema di Madri e non Madri.

Quando poi ho lasciato la terra emiliana d’origine per questa casastudio
affacciata sul mare delle Cinque Terre (“luogo di guarigione e giardino
d’arte”), dove ho trasferito da Milano sia il Centro Autostima che la
“Scuola biennale di formazione in Socio-Psicologia delle Donne”, l’intuizione
iniziale è diventata progetto di scrittura. E il luogo non è ininfluente
per il pensare, per il fare.

Il titolo, un po’ criptico, è allora diventato {{ {Perché non abbiamo avuto
figli. Donne “speciali” si raccontano} }}.
_ Un libro che propone tante riposte
alla domanda che molte donne come me si sono sentite rivolgere: perché
non siamo diventate madri e, ancor più spesso e con maggior stupore, come
mai non abbiamo avuto nemmeno il desiderio di diventarlo.

Il tema su cui mi sono interrogata è quello delle “donne senza figli”,
argomento che sembra essere uno dei nuovi tabù di questa società liquida e
di non poca importanza, perché la pressione sociale è ancora elevata e i
pregiudizi nei confronti di chi figli non ha, ancora numerosi.
_ Come scrive
{{ Susie Reinhardt }} “Chi non vuole diventare madre è esposta in continuazione
a congetture circa i motivi: le donne senza figli sono forse incapaci di trovare
un partner adatto oppure di allacciare una relazione stabile? Vogliono
sfuggire alle loro responsabilità? Sono egoiste che desiderano vivere libere,
indipendenti e sulle spalle degli altri, senza pensare alla propria pensione?
O, semplicemente, non sopportano i bambini?”.

Questo argomento impellente e intrigante, ma anche difficoltoso, mi ha
indotta a guardare dentro me stessa, inducendomi a {{esplorare le ragioni più profonde che mi hanno portata a non avere figli e a sentirmi madre simbolica, anziché madre biologica}}.

La passione e la curiosità, affiancate comunque alla fatica per questo libro,
nascono dal desiderio di voler mettere le mani su qualcosa di poco conosciuto
anche a me stessa per far affiorare qualcosa di nascosto, qualcosa da
sradicare, da vivere comunque in leggerezza.
_ Desiderio che parte da riflessioni
personali più che intellettuali; dal bisogno di riconoscere valore a quella
che è stata “l’intelligenza del corpo”, che mi ha indotta ad ascoltare le mie
ragioni più profonde, al di là di ogni convenzione sociale; desiderio che sgorga
dalla capacità di attribuire valore a ciò che per altri può essere disvalore.

Con la precisazione che se la mia vita è stata spesso attraversata da ambivalenze
(e non ambiguità), a cui attribuisco un valore positivo – perché significa
saper prendere in considerazione gli eventuali dubbi e desideri, anche
contrapposti tra loro – in questo caso, sulla maternità biologica appunto, ho
sempre avvertito una certezza: i figli non sono un progetto di vita per me.

Pensavo che avrei lasciato queste riflessioni per la vecchiaia avanzata,
quando fossi stata {vieille-vieille}, una sorta di autobiografia da ottuagenaria,
ma ne ho sentito poi l’urgenza, per consegnarla alle numerose e giovani
donne senza figli, sempre più inclini a non volerne o a metterne in discussione
la scelta.

A quelle che dicono di desiderarli, ma che poi non restano incinte (non
sterili, ma non feconde), ipotizzando una certa ambivalenza sulla maternità
biologica (lo desidero ma non lo voglio, lo voglio ma non lo desidero…)
spesso difficile da riconoscere.
_ Alle trentenni dunque, o quasi quarantenni con l’orologio biologico
tintinnante, nonostante gli aiuti delle nuove tecnologie riproduttive che ci
vorrebbero madri anche all’età delle nostre nonne.
_ A quelle giovani di cui si dice che non farebbero figli – perché tutte tese
alla carriera, al lavoro e ai soldi che mancano per metter su casa – che, stando
alle ultime ricerche europee, sembra non ne facciano anche per la difficoltà di
trovare coetanei disposti a condividere il peso e l’onere dei bambini.

Ma ne ho sentito l’impellenza anche per le donne ampiamente uscite
dall’età della riproduzione, le mie coetanee over sixty.
_ Quelle senza desideri
di maternità biologica, mai sperimentata, spesso mai desiderata, che tanta
inquietudine spargono tra coloro – uomini e donne – che ancora credono e
vedono con compassionevole superiorità chi appunto figli e figlie non ha
voluto metterne al mondo; donne che si sentono complete, socialmente e
affettivamente realizzate anche senza prole, senza dover sventolare nessun’altra
bandiera rivendicativa per inneggiare ad altre presunte superiorità.

È questa, dunque, un’indagine su un tema sociale fino a ora poco affrontato
nel nostro Paese, nonostante l’Italia abbia la media statistica di figli per
donna più bassa del mondo (l’1,35 ciascuna) secondo gli indici Istat 2008,
ma soprattutto è un {{approfondimento delle motivazioni psicologiche e sociali}}
di noi che qui ci raccontiamo: motivazioni profonde, che partono dalla nostra
soggettività, e che ci hanno indotte a {{mettere in discussione quella che sembra
l’inevitabile sovrapposizione dell’identità femminile con la maternità}}.

Un’analisi che è nata durante quel fondamentale percorso di consapevolezza
individuale e collettiva, i “formidabili anni Settanta”, che ha lasciato
eredità importanti al mondo intero e che è sfociata in questo libro che
è dedicato a chi pensa che, come mi ha detto Natalia Aspesi, “per una
donna felicità non sempre faccia rima con maternità”.

Andando dritta al problema, ho cercato donne che potessero raccontare
la loro esperienza con apertura di cuore e di mente: con una traccia di intervista
che mettesse a fuoco il punto in questione, correlandolo alla personalità
del personaggio e facendo emergere situazioni esistenziali quasi mai
convenzionali.
_ Un’intervista che permettesse un dialogo, uno scambio di
esperienze, con coloro che, come me, non erano madri.

E ho trovato donne particolari, famose al grande pubblico o note solo a
qualche élite, comunque “importanti e significative” per i messaggi che
hanno trasmesso negli ultimi decenni attraverso i loro interessanti percorsi
di vita (opere, progetti, idee, pensieri fondamentali per l’evoluzione e la
crescita di alcune generazioni): {{Natalia Aspesi, Letizia Bianchi, Piera Degli
Esposti, Ida Dominijanni, Elisabetta Donini, Margherita Giacobino, Laura
Grasso, Leslie Leonelli, Lea Melandri, Luisa Passerini, Rossana Rossanda,
Rosalba Terranova, Chiara Zamboni, Adriana Zarri}}.

Dalle loro interviste ricche e corpose, divertenti e serie, avvincenti e
stimolanti, e dalla lettera di Rossana Rossanda, emerge un concetto di
“materno” intrigante, anche e perché diversificato.
_ E si delineano ritratti di
donne vivaci, molto concrete, capaci di parlare di sé e trasmettere emozioni
con sagacia, apertura, immediatezza e sincerità; donne “speciali” che mettono
in evidenza la ricchezza delle differenze nell’universo femminile.

Alle interviste, che rappresentano la struttura portante del libro, abbiamo
aggiunto le nostre due, mia e di Ferdinanda Vigliani, che con me ha
condiviso questa esperienza, intervistandoci reciprocamente, perché entrambe
ci sentiamo parte del grande gruppo di donne che non hanno avuto/voluto figli e ci piaceva sentirci vicine e accomunate nell’identità.

[…]

Da quando il movimento delle donne ha elaborato il concetto di maternità
simbolica, mi pare che lo si possa attribuire in particolare a chi madre
biologica non è, recuperando il valore del “materno” che, per quanto messo
in discussione, è pur sempre un valore.
_ Dalle interviste emergono le risposte a questi interrogativi e tra una
domanda e l’altra si parla di mistica della maternità, del ruolo materno, dell’istituto
della maternità, di denatalità.

L’idea di fondo è che, consapevoli o meno, sono sempre più numerose
le donne senza figli che non solo non si sentono “mancanti” – e anzi vivono
la loro completezza come donne – ma ancor più rappresentano un nuovo
modello di identità femminile, ponendosi con la loro vita e le loro scelte,
come possibili esempi di femminilità “altra”, per altre donne.

{{Rinunciando ai figli non si rinuncia alla propria identità femminile}}; al
contrario queste donne rappresentano esempi sempre più diffusi di modelli
“nuovi” in cui potersi identificare.

La scelta individuale di ognuna di loro si trasforma in una possibile
scelta per tante altre, agendo così sul collettivo.
_ Le donne senza figli potrebbero rappresentare un modello di realizzazione
non soltanto come donne, ma anche come madri. Diffondendo il concetto
di maternità simbolica e dando un senso diverso al concetto di maternità,
diverso da quella biologica: quello di madri senza figli.