Siamo nel pieno dell’eterno, utile e previsto tranello della guerra e del suo orrore: prendere parte, stare con una fazione invece che stare con la pace contro un uso distorto e mostruoso del potere, della forza, della violenza e della democrazia.A Reggio Emilia, nel sito[ refahre->http://refahre.blogspot.com/], nato sulla lettura pubblica di Gomorra e sul 25 novembre sulla violenza maschile alle donne, e nella sua mailing list, stiamo discutendo anche aspramente sulla guerra dichiarata da Israele a Gaza.
_ Moltissime/i di noi sono con le e i palestinesi per l’impossibilità della vita a cui sono costrette/i, qualcuno difende gli e le israeliane per le provocazioni dei razzi di Hamas.

Siamo nel pieno dell’eterno, utile e previsto tranello della guerra e del suo orrore: prendere parte, stare con una fazione invece che stare con la pace contro un uso distorto e mostruoso del potere, della forza, della violenza e della democrazia.

Ho provato a {{riflettere su questa questione della scelta obbligata che la guerra impone a chi vuole la pace ed ha orrore della guerra}}, e sul fatto che comunque si è portati a scegliere tra due fazioni, soprattutto se si è contro la violenza e l’arroganza mostruosa del poter del dare la morte democraticamente.

E mi sono chiesta {{perchè siamo, sono, sempre a dover scegliere una delle parti in guerra se ho orrore della guerra?}}
_ E perché mentre scelgo, so, dentro di me, che in quel modo contribuisco a continuare la spirale simbolica della guerra.
_ Perché so che prendendo le parti di una parte, mi metto contro l’altra e così in qualche modo entro anch’io nella loro guerra.

Alimento, nel mio piccolo per senso di giustizia e per amore della pace, inevitabilmente la continuità della guerra. E magari sto prendendo anche le difese del più debole e mi sento nel giusto nei confronti del più forte.
_ Ma ugualmente so, dentro di me, che così non ci arriverò mai in fondo perché ingaggio anch’io una battaglia parallela e unidirezionale.

E mi ci trovo dentro per aver scelto la pietà, la compassione, la condivisione del dolore e della violenza, assumendomela addosso. Come accadesse a me.
_ Ma forse l’assumo nel modo sbagliato.

C’è qualcosa di sbagliato e di perverso in questo fare, che non mi appartiene e che mi infastidisce, ma che poi dimentico quando mi si presenta il conto degli orrori degli uni e degli altri, e mi sento spinta a non ascoltare la mia voce nascosta nel fondo e a stare con uno dei due contendenti.

Perchè emerge una debolezza che ha bisogno di protezione e un potere profondamente arrogante.
_ {{C’è una retorica consolidata della guerra che ti fa entrare in guerra senza saperlo}}, a cui inconsciamente obbedisco.

Ho un bel dirmi che le e gli oppressi vanno difesi, ma mentre lo dico per linguaggio, per scelta di campo e di forma, vi entro guardandola da casa mia. E anch’io dico come i capi delle due fazioni: lo faccio per difendere la gente, i civili, le donne, i bambini…

Non metto in discussione la guerra come strumento, come invece dovrei, per avere una giustizia giusta.
_ Non mi metto nelle condizioni di capire cosa serve per fermare la guerra e cosa serve per costruire la pace.

Accetto la guerra, come forma d’espressione del governo del potere e vi entro dentro scegliendo – guidata dall’orrore – di alimentare la spirale a cui lo stesso orrore, costruito dalla guerra, mi porta e da cui, invece, vorrei fuggire.

Perchè non voglio vedere morti violente e mi spaventa chi le procura – e quelle di guerra non sono meno illegittime di quelle rosa e di quelle bianche o di quelle di mafia – così reagisco scegliendo.
_ E in ogni guerra c’è una parte debole, in ogni guerra ci sono massacri e morte, in ogni guerra c’è chi vince e perde. E ogni guerra chiama a scegliere gli amanti della pace e della giustizia.

In ogni guerra c’è anche sempre qualcuno che gestisce il potere in entrambe le parti, ma questo non riesco a dirmelo fino in fondo. {{Troppo spesso il potere mi diventa invisibile e neutro e passa dietro il mio orrore per le stragi}}.
_ E allora ci si accapiglia, tra chi vuole la pace, su chi è più vittima e meno carnefice per trovare la parte giusta in cui stare, elencando tutti i motivi che portano l’uno e l’ altro dei contendenti a difendersi attaccando, con le armi che hanno a disposizione.
_ Magari facendosele anche fornire da chi ha interesse a darle per perpetrare la guerra, tra qualche anno e qualche decennio, visto che continua da svariati anni e nasce, madre di tutte le ultime guerre, dalle scelte della fine della seconda guerra mondiale.

Sì, è il potere che sfugge ai nostri occhi, locale e globale.

Il potere che rimanda continuamente gli accordi della politica e li delega da sempre all’uso della forza. Anche quando non c’è particolare motivo di usarla così pesantemente per gestire delle elezioni personali e di partito in vista, sia in Israele che in Iran.

Ma la crisi economica tollera e, forse vuole, anche questo. E assistiamo a un Sarkozy di destra che condanna Israele e a una donna di centro-sinistra come la Merkel che sta con Israele. E che dire di BaracK? E’ già finita la sua diversità da rifugiarsi dietro a:”C’è un presidente solo per volta”, di fronte ad una guerra simbolo di cui solo ieri scopre i morti civili? Ha agito così da solo Bush?

E noi e io allora cosa faccio? Prendo parte come ci impone la sofferenza atroce della guerra o cerco di rendere nudo il re, cerco di svelare il potere che tutto macina, me e noi compresi?
_ Sì, per me è il potere che va svelato nei suoi rituali da vittime e carnefici e in particolare chi lo incarna.
E sono uomini, in carne ed ossa pieni di debolezze e di vigliaccherie, che credono di potersi nascondere dietro la democrazia di una scrivania e da lì decidere impunemente la sorte di decine di milioni di persone.

Uomini abituati ad andare a braccetto con la violenza nelle cose quotidiane: quando si tratta di violentare o molestare una donna, Olmert insegna, e quando si tratta di far scoppiare una guerra.

{{E’ un pensiero che è in crisi}}, un pensiero unico che confonde politica con potere personale in diverse parti del globo e {{che non sa quasi mai fare quello che invece promette nelle elezioni: la politica}}.

Allora è questo pensiero da mettere in discussione e rendere democratico, anche quando per continuare ad esistere cambia faccia e assume le sembianze di donna.
_ E’ un pensiero che è nato regolandosi solo sul potere della forza e che in millenni non è mai riuscito a prenderne le distanze. Rivoluzionando il suo fare politica, proteggendo la vita con l’uso delle relazioni, come quasi sempre fanno le donne per tenerla in piedi, e non con le armi della morte.
_ Non c’è nessun tipo di abilità in questo pensiero mortifero ma solo la denuncia di una grande impotenza degli uomini della politica del potere.
_ E’ questa impotenza la molla di questo pensiero disumano? E’ questa impotenza da nascondere con la guerra?

Il potere, tanto bramato, si prende la sua rivincita svelando la sua im-potenza, il suo non potere, la sua non potenza nel difendere la vita con la politica, da cui si fa invece discendere il potere personale.

Una grande amica a cui dicevo queste cose alcuni giorni fa, mi ha risposto: “Ma io non posso non prendere parte, quello che accade è troppo e non mi basta dire che il potere della forza è maschile, devo stare dalla parte di chi soffre”.
_ Le ho risposto : “Ci chiedono anche questo. Ci chiedono come donne, che si sono fatte attraversare il corpo dalla vita, di rinunciare a capire, a partire dalla sapienza del nostro corpo, da dove sappiamo nascere la violenza e il suo abuso. Facendocela immaginare come piccola cosa questo voler svelare la pochezza degli uomini che ci governano, di fronte a dilemmi molto più grandi di una relazione sbagliata tra i sessi.
_ La guerra degli uomini di potere lo contempla e vuole la nostra rinuncia a capire da donne quel che accade, e noi ci rinunciamo?”