Essere oggi in una scuola superiore italiana e toccare con mano quanto
ancora pochissimo, per non dire nulla, sia passato della memorabilità delle
donne è allarmante.In una città del nord Italia, ad un corso di formazione sulle politiche di
genere che ho tenuto alcune settimane fa, una giovane donna, dirigente
sportiva, racconta{{ una storia di ordinario sessismo}}.
Parte con calma, e dice che, recentemente, un suo superiore allenatore ha
detto davanti a lei, unica ragazza nella palestra piena di maschi, che
avrebbe dovuto smetterla di parlare di donne, diritti e cose del genere. “Le
donne non hanno fatto mai nulla di grande nella storia, tutte le cose
importanti sono state inventate e proposte da uomini. Voi sapete fare i
figli, e basta.”

Restiamo tutte ammutolite, e la giovane finalmente si permette quelle
lacrime di rabbia umiliazione che ha trattenuto in palestra. {{Cambia la
scena, ma non il contenuto:}} questa volta sono in una scuola di Como, dove
Donne in nero e Ife hanno organizzato un incontro con due classi in un
liceo, di età compresa tra i 16 e i 18 anni.
“Come facciamo a sapere qualcosa sulle conquiste delle donne se non
conosciamo nemmeno i nomi di coloro che hanno fatto la storia, che sono
state importanti in tutti i campi e in ogni epoca?” .
“Hai ragione, rispondo. Proviamo insieme a verificare quanti nomi di donne
autorevoli riuscite a ricordare, dico alle due classi”.

Verrà fuori in pochi minuti che Grazia Deledda (premio Nobel per la
letteratura), Nilde Iotti (prima Presidente della Camera), Dacia Maraini
(autrice di fama mondiale) sono {{perfette sconosciute}}. Qualcuno ricorda Irene
Pivetti, invece della Iotti, alla stessa carica.
Riusciamo a stento a tirare fuori Hillary Clinton (non pervenuto il suo
cognome Rodham) e poi Rita Levi Montalcini; qualcuno evoca la cancelliera
tedesca, ma il suo nome non lo sanno.

Una ventina di anni fa, nella postfazione del mio primo libro {Parole per
giovani donne- 18 femministe parlano alle ragazze d’oggi}, {{Lidia Menapace}}
scriveva: “Trasmettere storie di noi femministe è decisivo, altrimenti può
succedere – come già accadde all’inizio del secolo – che si perda persino la
memoria dell’evento e che tra alcune generazioni si debba ricominciare tutto
daccapo. Questo è infatti {{il potere simbolico del nome,}} dell’esercizio della
parola: trasmettere oggi nella nostra società è narrarsi, dirsi, obbligare
ad essere dette col proprio nome di genere. Finchè non abbiamo nome e non
possiamo trasmettere di noi individuati cammini il nostro posto nella storia
può essere solo legato ad eventi tragici, dolorosi, oppressivi”.

Venti anni fa queste parole costituivano un monito e un programma per le
tante donne, tra le quali anche io, si sarebbero messe a disposizione per
lavorare in vari modi per la trasmissione dell’eredità femminista.

Essere oggi in una scuola superiore italiana e toccare con mano quanto
ancora pochissimo, per non dire nulla, sia passato della memorabilità delle
donne è allarmante.
Il sessismo è anche, e soprattutto, originato e alimentato dalla {{rimozione
delle personalità femminili che hanno lasciato traccia}}. Non bisogna mai
dimenticarlo.