Il dibattito sulla modalità del corteo del 24 novembre – tutto di donne o meno – ferve su liste e blog. Una presa di posizione come donna che ha partecipato alle 3 assemblee nazionali che hanno costruito la manifestazione.La modalità con cui si scenderà in piazza il 24 novembre – se cioè, si tratterà di un corteo di tutte donne o meno – è al centro di un animato dibattito che si svolge su mailing list, blog e media (sull’inserto domenicale di Liberazione, Queer, del 18 novembre si possono leggere due articoli in proposito).

Se ne trova traccia, ad esempio, sul sito di “[Usciamo dal silenzio->http://www.usciamodalsilenzio.org]” o sul blog di “[controviolenzadonne.org->http://controviolenzadonne.org]”. _ Evitando di fare un riassunto, necessariamente riduttivo, delle posizioni espresse, proverò a spigare, come donna che ha partecipato alle tre assemblee nazionali che hanno costruito il 24 novembre, come mai credo che il corteo debba essere “di donne per le donne”.

Essere in piazza tra donne non significa mettere in discussione la complessità del discorso sul genere. Almeno non dal mio punto di vista. Sulle donne (e su chi ha scelto di “degradarsi” transitando verso un genere ritenuto socialmente inferiore) pesa lo sguardo del patriarcato: è in base a questo sguardo che si scatena la violenza degli uomini sulle donne, è a questo sguardo che bisogna reagire.
_ E {{reagire partendo dalla propria posizione in un mondo patriarcale}} non rivendicando un’essenza (almeno per quanto mi riguarda) ma partendo dall’oppressione specifica contro cui ci ribelliamo per scardinare un assunto fondamentale – quello, sì, essenzialista – che si trova alla base della violenza: le donne non sono soggetti, non hanno autonomia (e quindi libertà, autodeterminazione, capacità di scelta e così via).

E’ per questo che le donne sono rappresentate socialmente come corpi docili (a funzioni e ruoli) e violabili. È per questo che le donne sono rappresentate come “soggetti deboli” (o vittime), che necessitano tanto di protezione quanto di guida, sostanzialmente incapaci di scegliere (del proprio corpo, della propria capacità riproduttiva, delle proprie pratiche politiche).

Questi aspetti sono due facce della stessa medaglia:{{non si sradica la violenza sessista se non si riconosce autonomia e soggettività alle donne}}.
_ Qualunque politica, se pure illuminata (per non parlare, ovviamente, delle derive fasciste e razziste e delle “politiche securitarie”) sarà vana, un mero palliativo, se non si riconoscerà soggettività, autonomia e libertà alle donne (tanto per fare un inciso: perché non cominciare ad eliminare la legge 40 invece di scriverne di nuove? Come può un governo che mantiene una legge che nega autodeterminazione alle donne – ed in questo modo esercita già una forma di violenza – varare una legge che le “tuteli”?).
_ Questo punto è, a mio parere, fondamentale, e deve essere espresso dal corteo del 24 in modo chiaro e forte: per questo credo importante che quella del 24 sia una manifestazione di donne.

Mi piace pensare che come donne (senza rischi di riduzionismo biologico) scenderemo in piazza {{rifiutando tutele, offerte di protezione, scuse da parte di qualche uomo a nome del genere maschile, solidarietà}}.
_ Mi piace pensare che scenderemo in piazza affermando la nostra autonomia, gridando la nostra rabbia, mostrando che la risposta alla violenza parte dalla relazione con le altre e dalla non negoziabilità della nostra autodeterminazione. Per questo {{credo che la presenza degli uomini sia una contraddizione sul piano simbolico}}.

Ci si interroga sull’opportunità di permettere di prendere parte al corteo a quegli uomini che hanno avviato percorsi di messa in discussione del proprio genere. Credo che, pur rispettando e sostenendo quei percorsi, sia necessario ribadire che ciò che come donne abbiamo da dire sulla violenza patriarcale è altro da quello che su questa hanno da dire gli uomini.
_ È essenziale che gli uomini capiscano che la messa in discussione del genere maschile e quindi della violenza che questo esercita sulle donne è un passaggio che attiene alla loro dignità, alla loro libertà, e non è un “dono” elargito ancora una volta da una posizione dominante. Ma questa è {{una riflessione che riguarda gli uomini}}.

Credo che il nostro {{rifiuto di esercitare un ruolo di “maternage”,}} o una funzione maieutica nei confronti di questa riflessione non possa che giovare tanto agli uomini quanto alle donne. Prima di tutto, per quel che ci riguarda, in considerazione del fatto che l’accoglienza, la cura, la presa in carico sono alcuni degli ingredienti fondamentali di una “femminilità” che ci viene imposta come “naturale” e la cui faccia oscura è la passività di fronte alla violenza e l’impossibilità di affermare noi stesse ed il nostro desiderio.

Detto questo {{mi piacerebbe che l’attenzione tornasse ai contenuti della manifestazione}}, a partire dalla piattaforma uscita dalla prima assemblea nazionale. Prima di tutto la denuncia di quello che non si vuole vedere: che la violenza degli uomini sulle donne è un problema strutturale, è insita nelle relazioni tra uomini e donne in un sistema patriarcale come il nostro.
_ È per questo che avviene soprattutto in famiglia e ad opera di uomini conosciuti. La violenza non è commessa dal “marginale”, dal “diverso”, dallo “straniero”, non è un problema di ordine pubblico: se mai il nostro problema è l’ordine pubblico, se mi si permette il gioco di parole.
_ Il nostro problema è un ordine pubblico fondato sulla negazione della libertà e dell’autodeterminazione delle donne. Un ordine pubblico che autorizza la violenza – fisica, psicologica, economica, etc.. – sulle donne, italiane e migranti, in famiglia e sul lavoro, in casa e per strada, in forme legali ed illegali.
_ È a quest’ordine che ci dobbiamo ribellare.