Non mi stupisco che tocchi parlare di separatismo, anzi mi aspetto, e ne vedo segni premonitori, altre proposte di separazione.Il problema non sono le classi unite o separate, ma sono proprio le classi, scrive {{Rosangela Pesenti}}; la struttura profonda e simbolica che “la classe” incarna. Non a caso, l’intento dichiarato di riportare la scuola a un favoloso “prima”, la ferma volontà di cancellare percorsi e disegni di mutamento focalizzano l’attenzione sugli accessori che fanno classe: il grembiulino, il voto, il maestro (sic) unico, un libro (uno solo) di lunga durata.

E così {{una questione che fino a poco fa sarebbe sembrata illegittima e demenziale –separare i bambini e le bambine- diventa pronunciabile}}: una scolara in grembiulino (e colletto bianco, perché no), educata dalla sua maestra unica, con il sussidiario, possibilmente 10 in comportamento, che esce da scuola alle 12,30 (la sua mamma, naturalmente casalinga, la può ritirare): non è una bambina, è una fanciulla, sorella di quella dei programmi del ’55 che mi sono trovata quando ho cominciato a insegnare, e le fanciulle, le femmine, vanno ovviamente separate dai maschi.
_ {{Sarebbe una questione irrilevante perché non è neanche una questione}}; tutte abbiamo favorito o imposto gruppi separati quando le occasioni educative lo richiedevano, così come infinite altre modalità di raggruppamenti abbiamo praticato e inventato per stanare, rendere visibili e fonte di pensieri, parole e scambio comunicativo ogni altra diversità, uguaglianza, somiglianza, divergenza o fantasia di sé che possono avere bambini e bambine. Il problema semmai è che non ci saranno più gruppi, (cosa resa impossibile dalla cancellazione delle compresenze legiferata da Gelmini) ma –appunto- classi e numerosissime, per le {{quali occorrerà elaborare una “pedagogia di massa” e massificante}}.

Non mi stupisco dunque che tocchi parlare di separatismo, anzi mi aspetto, e ne vedo segni premonitori, altre proposte di separazione. {{E’ per queste vie secondarie che si va ristrutturando l’assetto scolastico}}; {{ma ciò che cambia nell’organizzazione, produce radicali ancorché impercettibili slittamenti di significato dei concetti che individuano protagonisti e simboli del sistema scolastico}}. Voglio dire che così come si può ridisegnare la bambina in fanciulla, si cambia la maestra mutando il contesto (unica, prevalente, “votante”), si indica discretamente alla mamma cosa fare dal mezzogiorno in poi (perché se la scuola si accorcia, di certo si allungheranno i compiti), si insinua l’idea che in certi modi si impara di più.

E certo che imparano di più le femmine separate dai maschi, i maschi separati dalle femmine e anche i bravi separati dai somari, gli italofoni separati dagli altri.{{ Ma più di che cosa? E a cosa potrebbe servire quel di più?}} Di certo imparerebbero di meno ad interagire con le gli altri, con le diverse interpretazioni delle diversità –maschile e femminile compresi- e anche meno su se stessi.

Osservo i miei scolari e scolare, tutti mescolati (sesso, colore, possibilità e anche età). {{Li guardo, li ascolto quando li faccio discutere}} – e si arrovellano – sull’essere maschi, essere femmine, sulla mente e sul corpo, essere nati qui o altrove, su come giocano e come studiano da soli e con gli altri, le altre. Verso la fine di una di queste discussioni Giulia chiede “Ma non possiamo trovare una parola, una frase che riassume? Così è troppo difficile!” Le risponde Pietro “No che non si può, quando parliamo insieme è una cosa così grande che non la puoi rendere semplice e poi noi cambiamo continuamente e ogni volta che parliamo siamo diversi. Quando parliamo facciamo ricerca, non ci può essere una conclusione” Hanno fra i 9 anni appena compiuti e i 10 e mezzo e io non credo che gli piacerebbe essere separati, ma proverò a chiederlo e a proporre una discussione.