L’ultima volta che l’ho vista è stato a Roma alla Casa internazionale delle donne, due anni fa a marzo, alla prima edizione di Feminism, fiera dell’editoria femminista.

Mi aveva colpito che non ci fosse lei, o qualcuna del Paese delle donne, tra le relatrici di uno dei dibattiti dedicati ai magazine femministi, visto che il Paese è stato una delle esperienze storiche più importanti nell’editoria femminista in Italia.

Marina Pivetta era nel pubblico, l’avevo avvicinata e le avevo chiesto come mai.

Mi aveva dato una delle sue occhiate ironiche e allo stesso tempo dolci, come a dire: non importa, va bene così. Da tempo era lontana dall’attività pubblica, e non sapevo fosse già in lotta contro la malattia che l’ha portata via oggi.

Marina è stata la direttora per molti anni dell’inconfondibile Paese delle donne, un foglio che ha avuto come costante l’essere stampato su carta rosa confetto.

Il Paese delle donne uscì in maniera continuativa dal 1987 in versione cartacea con cadenza settimanale, con una redazione tutta di giornaliste femministe. Dal 1997 si dotò della versione online, continuando ad essere tra i primi siti di informazione di donne in Italia; dall’ottobre 2006 il formato cartaceo uscì con cadenza semestrale per poi restare solo on line.

Moltissime delle femministe della generazione degli anni ’50 e ‘60 che hanno scelto la strada del giornalismo hanno scritto su quei fogli insieme a parlamentari, docenti e studiose: il Paese delle donne è stato per anni, prima della rete, il luogo nel quale trovare tutti insieme, su quelle pagine rosa, gli eventi femministi, settimana dopo settimana. I dibattiti sui temi caldi dell’attualità e della politica, gli appuntamenti nelle piccole e grandi città, le polemiche dentro e fuori i gruppi: insomma la ragnatela che il movimento delle donne nelle sue varie forme tesseva nel nostro paese era stampata lì. Una impresa titanica davvero.

Marina mi parlò della scissione che portò un gruppo di giornaliste più giovani a lasciare la testata e a costituire una nuova esperienza giornalistica, quella di Dwpress, a Palermo, ai margini di un incontro tra testate femministe organizzato da Simona Mafai, allora direttora di Mezzocielo: ragionando della difficile relazione intergenerazionale mi resi conto che non doveva essere semplice avere a che fare nel quotidiano della redazione con una madre simbolica come lei, autorevole e qualche volta percepita, inevitabilmente, come autoritaria.

Nel mondo del giornalismo non è facile affrontare le frequenti ferite narcisistiche inferte dal confronto con le maggiori d’età e di esperienza quando si è alle prime battute di un mestiere che richiede autocritica e senso del limite, due caratteristiche difficili da digerire in giovane età.

Ma sbaglierebbe chi ricordasse di lei solo il rigore e la ruvidezza, perché ho chiarissimo un concetto basilare che Marina Pivetta espresse in occasione dei 15 anni di Marea, durante un dibattuto al quale prese parte con altre colleghe, nel 2005. Marina aveva indicato come uno dei motori più forti per disincentivare la competizione tra donne nel giornalismo, specie tra le colleghe più anziane e quelle più giovani, la spartizione della propria ’agendina’, quello strumento ambìto, misterioso e ricattatorio che contiene i numeri (riservatissimi?) attraverso i quali si accede alle persone che contano. Marina sosteneva che sul divide et impera il patriarcato ha costruito la spaccatura nel mondo femminile, e quello sul lavoro è senza dubbio il conflitto più doloroso e mortifero che si può scatenare tra le donne.

“E se si provasse a sgombrare il campo dalla competizione,- propose Marina,- e se quell’agendina fosse a disposizione di tutte, per favorire la collaborazione al fine di incentivare e migliorare la qualità di ogni singolo pezzo in ogni singolo comparto del giornale”?

Una proposta che appare utopica, anche perché il sogno di dare vita in Italia ad una rete di riviste femministe, che lei aveva auspicato nel 1994 in uno dei pochi incontri tra le testate dell’epoca, voluto da Emi Uccelli sul lago di Garda non vide mai la luce.

Ma quella visione di unità nella complessità e nelle differenze le assomiglia, perché è la manifestazione del desiderio di aprire strade di relazione, pur nel conflitto, che nella vita di questa giornalista e attivista femminista ha caratterizzato scelte e impegno. Ad Altradimora, tra i materiali del fondo lasciato da Emi Uccelli, sono custodite decine di copie del Paese delle donne, ed è quindi possibile consultarle: un pezzetto del lavoro di Marina Pivetta che continua a vivere e può continuare a passare di mano in mano, perché non si muore per sempre se c’è chi raccoglie il testimone.