Era il 1985 a Paese Sera
Erano circa le 20, mi trovavo in tipografia per seguire il montaggio
delle due pagine che uscivano tutte le settimane all’interno di questo
quotidiano, quando entra Mariuccia Masala. Si presenta. Ci salutiamo.
Viene da Napoli. Mi dice, senza giri di parole, di essere interessata
al progetto di queste pagine che puntano i riflettori sul protagonismo
delle donne. La guardo stupita perché, proprio quel giorno, in
redazione c’eravamo dette quanto sarebbe stato importante avere un
riferimento a Napoli. Il giornale veniva distribuito anche lì. La
magia del caso mi ha sempre colpito. Il mio “sì” è stato immediato.
Mariuccia mi colpisce, mi piace a pelle. Ha gli occhi intelligenti,
curiosi, il suo sguardo è determinato. Le chiedo se ha già chi la
ospita. No. La invito a dormire a casa. Telefono; quando arriviamo
Stefano, il mio compagno, e mia figlia Paola, avevano già preparato
tutto per ospitarla.”

Così scriveva Marina nel 2013 quando, a dieci anni dalla morte di Mariuccia Masala,  le dedicammo, su Womenews.net, una serie di testimonianze, e la prima fu proprio di  Marina.

Lo ricordo, mentre sono in treno diretta verso la “casa rossa” per salutare Marina per l’ultima volta, perché nel mio dolore le figure di Mariuccia e di Marina si legano, così come si sono legate, dal 1985 al 2003, in un sentimento diverso, di fiducia e di aspettativa del futuro.

Mi sono chiesta in questi giorni quale fosse il segreto di Marina. Perché, da allora, attraverso Mariuccia Masala, e poi anche in un rapporto diretto tra noi, negli anni, ho sempre percepito in lei qualcosa di speciale. Molte delle testimonianze e dei ricordi che in questi giorni affollano Il Paese delle donne, ma anche altri interventi su altre testate che le hanno dedicato un ricordo, e anche tanti post su Facebook, insistono sulla capacità che Marina Pivetta ha sempre avuto di incoraggiare le persone, di far nascere le cose e anche, aggiungo io, di farle vivere e di farle continuare a vivere a dispetto delle difficoltà, degli abbandoni, degli scoramenti, di ricominciare daccapo quando qualcuna delle tante cose che ha iniziato franava. Questa è sicuramente stata una sua qualità personale, non so se chiamarla forza o resilienza, di cui si sono giovati il femminismo, l’informazione, la politica. Ma non credo che sia stato questo il suo segreto.
Il suo segreto, se c’è stato, è stato un altro, ed è racchiuso in quelle poche righe che ho citato all’inizio.
Marina non separava mai, e non si separava mai. Non separava vita privata e vita politica, anche se era una persona riservata, non separava impegno professionale e impegno politico per la libertà delle donne, anche se non era una persona ideologica, non separava desiderio personale e desiderio comune. E non si separava dalle persone che stimava e per le quali provava affetto anche quando desideri divergenti, conflitti o, più semplicemente, i casi della vita le portavano lontano. Forse è per questo motivo che non si può parlare di lei senza dare alle proprie parole un tono personale.
Anche i luoghi diventavano suoi e non se ne separava. In tutti questi anni, ad esempio, è venuta spesso a Napoli, quando è nata la redazione napoletana del Foglio Rosa, quando ha aiutato la rivista Madrigale ai suoi esordi, quando, negli ultimi anni, è venuta da turista e da amica, insieme a Stefano. In queste occasioni non mancava mai di restituire, scrivendo sul giornale, curiosità e pensieri suscitati da qualche occasione culturale o politica nella quale si era trovata coinvolta.
Marina permeava, era forse questo il suo segreto. Per questo è difficile separarsi da lei, anche se ora è inevitabile.