Giova infine ricordare a ministri incompetenti e sbadati che il lavoro casalingo (gratuito) delle donne è stata la seconda gamba del sistema pubblico di welfare (come ben documentato da Chiara Saraceno). Un sistema che non ha mai saputo , né voluto forse, porsi l’obiettiva della piena socializzazione dei lavori di riproduzione sociale. Qualche mese fa in una fabbrica metalmeccanica del milanese si tentò di licenziare alcune operaie, già in cassa integrazione, sostenendo che “tanto in casa , per una donna, c’è sempre un gran lavoro da fare”.

Qualche giorno fa un ministro della Repubblica (sic!) ha proposto come misura anticrisi l’eliminazione delle pensioni di reversibilità (cioè quelle che passano alle vedove o ai vedovi dopo la morte del coniuge) perché secondo lui non sarebbe giusto che le casalinghe possano avvalersene visto che non lavorano né l’hanno mai fatt (sic sic!)

Ci si metta d’accordo, please.
Evitando di prendere decisioni avventate sulla pelle delle donne.

Nel nostro paese, secondo il rapporto ISTAT, una donna su due non solo non lavora ma neppure lo cerca. Le statistiche definiscono le persone in questa condizione “inattive”.
_ Il tasso di “inattività” delle donne italiane supera, sempre secondo l’Istat, quello di 26 paesi europei . Sta peggio di noi solo Malta ……

Di contro le donne “attive” sono solo il 46,3% a fronte del 66,2% della Germania, del 60% della Francia e, udite udite, del 71,5 % dell’Olanda.

Ma sono proprio le donne a scegliere consapevolmente la condizione di “casalinghe”?

Qualcuna sicuramente si, però l’ultimo rapporto del Worl Economic Forum sulla parità di genere pone l’Italia al 74° posto dopo, per fare alcuni esempi, il Malawi, il Ghana e la Tanzania.

La causa maggiore di questo inglorioso posizionamento è soprattutto legata alle difficoltà che le donne incontrano riguardo alle opportunità di lavoro e di carriera.
_ La cronica carenza di servizi (asili nidi, tempo pieno, centri diurni per gli anziani…) , l’ineguale distribuzione fra generi del lavoro domestico (i panni puliti, il cibo cotto, la casa in ordine,..) e un contesto culturale ancora molto maschilista fanno il resto.

Un’inchiesta della CGIL Lombardia di qualche anno fa ha consentito di sfatare anche un altro “mito”: non è vero che le donne preferiscono il tempo di lavoro parziale, ben i 2/3 delle lavoratrici intervistate hanno sostenuto di aver dovuto “scegliere” il part-time per poter “conciliare” lavoro salariato e lavoro domestico, accudimento dei figli in particolare.

Giova infine ricordare a ministri incompetenti e sbadati che il lavoro casalingo (gratuito) delle donne è stata la seconda gamba del sistema pubblico di welfare (come ben documentato da Chiara Saraceno). Un sistema che non ha mai saputo , né voluto forse, porsi l’obiettiva della piena socializzazione dei lavori di riproduzione sociale.

Piuttosto che licenziarle o togliere loro la pensione di reversibilità sarebbe necessario portare il nostro Paese, sulla parità fra generi, ai livelli europei in termini di occupazione, salari, carriere, servizi.

Questo sì che sarebbe un modo intelligente per uscire dalla crisi. Un buon uso delle risorse umane piuttosto che l’umiliazione delle singole persone.

E sarebbe necessario realizzare , finalmente, un cambiamento culturale che solleciti il genere maschile italico ad assumersi la propria parte di lavori domestici e a smetterla di considerarsi “sesso forte” in qualsiasi ambito, e sostenga le donne che non vogliono più sentirsi “secondo sesso” ad essere responsabili ed artefici del loro destino.