In mezzo a tanti professori con tutte le maiuscole e le granitiche certezze da liceo classico sono stata una piccola profe dal percorso anomalo, guardata all’inizio con supponenza e diffidenza perché ragioniera, laureata in filosofia, docente di storia e italiano.
Una dei pochi bambini e bambine saliti sulla zattera della scuola media unificata e salvati in extremis dalla liberalizzazione dell’accesso a tutte le facoltà.
Ho insegnato a leggere, scrivere e parlare in italiano senza partire mai dalla grammatica che, come sappiamo, è riflessione sulla lingua possibile solo se e quando la lingua prende senso per te e non è l’esercizio di un patimento o la pratica del sacrificio.
Come ho fatto? Facendoli scrivere e parlare e scrivere e parlare e scrivere e parlare e correggendo correggendo correggendo infiniti compiti nei quali l’errore era segnalato e poi discusso insieme ma soprattutto era valorizzato tutto ciò che era ben scritto.
Mi ha ritrovata in occasione del 8 marzo un’ex alunna e insieme abbiamo ricordato un suo riassunto rifatto nove volte e nove volte corretto.
Come ho fatto? Con una fatica che non posso raccontare ma posso dimostrare che si può se si vuole. L’ho fatto a scuola e contro la scuola che suggerisce anche agli insegnanti la strada più facile e liquida come buonismo la sperimentazione di nuove metodologie didattiche.
La maggior parte degli insegnanti che ho avuto a scuola erano placidamente classisti e non m’importa di essere stata il loro fiore all’occhiello perché se la mia scrittura è senza errori lo devo a mia madre e alla zia Maria, quarta elementare, serve di mestiere, che mi hanno trasmesso l’amore per la forma scritta e orale, il piacere dei libri, il rispetto per le persone e la convinzione che non si nasce già “imparati” come si usa dire con frase simpaticamente sgrammaticata.
Potrei scrivere e scrivere e scrivere sulla scuola e perfino insegnare come si fa, ma in questo paese il problema non è la grammatica, purtroppo è ancora la realizzazione del dettato costituzionale anche nella scuola.
E in cattedra purtroppo ho la sensazione che ci siano sempre gli stessi o i loro figli.
Con amarezza e inguaribile speranza