Pubblichiamo l’intervento di Nicoletta Pirotta al tavolo su “Beni
comuni, partecipazione, servizi pubblici” al Forum dei Comuni per
i beni comuni tenutosi a napoli lo scorso 28 gennaio.
Nelle relazioni che hanno aperto questo interessante ed opportuno Forum e
negli interventi che mi hanno preceduto si è affermato il desiderio, se non
la necessità, di costruire un nuovo “senso comune” che consenta di dare
prospettiva alla nostra comune volontà di trasformazione dell’esistente.
_ In
un’epoca segnata dalla solitudine e dall’estranazione (nel significato che
Hanna Arendt assegna ai due termini) ritengo anch’io opportuno e
desiderabile ricercare un nuovo senso comune, contribuendo al formarsi
collettivo di una coscienza di sé e del mondo sia nella sfera materiale e
che in quella simbolica, nella realtà oggettiva e in quella soggettiva.

Cercherò dunque di condividere con voi alcuni spunti di riflessioni che sto
approfondendo e sui quali stiamo producendo attività politica sia come
Iniziativa Femminista Europea (una rete di donne presente in una quindicina
di paesi dell’Europa) sia come rete@sinistra.

Gli spunti riflessivi riguardano una questione, due principi ed alcuni
strumenti.

{{La questione}}: credo che i processi di privatizzazione di cui si discute
anche in questo forum, e oggetto del recentissimo decreto governativo
abbiano senza alcun dubbio a che vedere con la volontà dei sistemi di
potere economici che governano il mondo di assicurarsi un profitto.
_ Credo
però che, se si va ancora più a fondo, la separazione fra pubblico e
privato trovi una potente “significazione” altresì nelle relazioni fra
esseri umani ed in particolare fra generi.
_ A questo livello infatti agisce
un modello di natura patriarcale secondo il quale nella sfera privata
sarebbe ammissibile anche ciò che in quella pubblica è disdicevole. Ricordo
molto bene come, nelle vicende meschine dell’uomo di Arcore, i suoi strenui
difensori si affannavano ad affermare, ad ogni piè sospinto, che “ciascuno
nel proprio privato è libero di fare quel che vuole”.
_ Anche chi ne era
disgustato, però, si limitava a rispondere che questo non poteva valere
quando si ha a che fare con un personaggio pubblico senza dunque mettere in
dubbio l’assunto che il privato sia il regno della libertà ed anche della
licenza.
_ Come dire, cioè, che la democrazia si ferma sull’uscio perché
dentro le mura di casa tutto è consentito.

Una simile concezione ha molto a
che fare, a mio avviso, con un mai superato modello di dominazione maschile
che si esercita nella dimensione privata e determina ancora fortemente la
natura dei rapporti fra genere producendo dissimmetria ed alienazione.
_ Lo
spiega bene Cristine Delphy, filosofa femminista, che invita a riflettere
sulla funzione di tale dominazione che si riversa nella sfera sessuale e
nell’espropriazione del tempo delle donne attraverso il lavoro casalingo.

Dunque il modello che determina la separazione fra pubblico e privato è
funzionale ai sistemi dominanti e per questa ragione, nella costruzione di
un nuovo senso comune, dovrà essere messa in discussione riaffermando, a
mio avviso, quello che fu il più rivoluzionario “slogan” del movimento
delle donne e cioè che “il personale è politico” per ribadire che le regole
che valgono per la sfera pubblica non possono essere differenti nel privato.

{{I principi}}: invito a considerare alcuni principi, due in particolare, come
beni comuni purchè si sia in grado di risignificarli compiendo le
necessarie rotture, materiali e simboliche, con la realtà data.

Uno di questi principi è quello dell’eguaglianza. Dopo gli anni furibondi
del capitalismo nella sua versione neoliberista e nella ferocia delle
ricette proposte dal neoliberismo nmedesimo per uscire dall’attuale crisi
economica e sociale, sia tempo che tale principio venga declinato non solo
nella versione strumentalmente pacificata delle pari opportunità, cioè di
semplici accomodamenti, pur se a volte necessari, dentro sistemi che
restano immutabili.
_ Il principio di eguaglianza, come invitano a fare
altre filosofe femministe fra le quali Nicole Thevenin e Genevieve Fraisse,
va agito come processo in grado di sovvertire l’esistente in quanto
organizzatore di pensiero e di politica capaci di rivoluzionare le
strutture, personali e sociali, che determinano l’ineguaglianza e
l’asimmetria di potere.

Non voglio, quindi, essere uguale a chi mi opprime
ma voglio lottare per modificare le strutture che determinano
l’oppressione.
_ Lo voglio fare non solo perché donna, condannata ad essere
secondo sesso a prescindere, ma in quanto essere umano e mi piacerebbe
davvero tanto che il genere maschile, almeno quello più illuminato, agisse
insieme a me questo conflitto e questa rottura.

Il secondo principio, non per importanza ovviamente, è quello di laicità.
_ In un’epoca come quella attuale di grandi migrazioni che fanno convivere in
uno stesso luogo culture e tradizioni differenti, il principio di laicità
diventa essenziale.
_ E lo diventa non solo nel suo più alto significato di
separazione fra Stato e Chiesa (intesa come gerarchia) e di distinzione fra
secolarizzazione e religiosità ma anche come capacità di abbandono di
dogmi, di fanatismo e di fondamentalismo, in particolare religiosi.
_ La
laicità dunque come principio di governo della propria vita che rinvia
all’autonomia soggettiva e si sostanzia nel potere di autodeterminazione di
se stesse e se stessi (si veda a qs proposito l’elaborazione del gruppo
europeo di IFE sulla laicità coordinato da Soad Baba Aissa e Nina Sankari
rispettivamente franco-algerina e polacca, www.ifeitalia.eu).
_ Un principio
di laicità così inteso non potrebbe considerare accettabile una cultura che
non riconosce i diritti delle donne come diritti universali svelando i
rischi ed i pericoli di un multiculturalismo superficiale.

Risignificare in questa prospettiva eguaglianza e laicità aiuterebbe non
solo la costruzione, su un piano politico-culturale, di un nuovo senso
comune ma potrebbe addirittura rivelarsi utile nel ripensare, in un quadro
di diritti certi, le politiche locali in materia di servizi alla persona.

{{Infine gli strumenti.}} Ne indico due, una pratica ed un sentimento.

La pratica è quella dell’educazione popolare intesa come percorso di
formazione ed autoformazione permanente e collettiva per “redistribuire” il
potere della conoscenza e della consapevolezza di sé e del mondo.

Il sentimento è quello dell’empatia intesa non solo nella capacità di
“mettersi nei panni dell’altra/o” ma nella sua dimensione politica che,
come propone la giurista Martha Nussbaum, ci fa capaci di costruire “salda
comunanza” e ci costringe ad imparare a “prenderci cura” di noi stesse/i e
del mondo.