I titoli di un giornale, si sa, sono ciò che più facilmente rimane impresso negli occhi e nella mente del lettore: la dimensione dei caratteri, la collocazione nella pagina, la forza delle parole chiave usate ‘agganciano’ anche chi scorre in fretta il quotidiano.Esse contano, purtroppo, più delle informazioni che si ricavano dalla lettura dell’intero articolo e raggiungono un numero incomparabilmente superiore di persone.

“La Gazzetta di Mantova” ci ha informati puntualmente sulla tragedia che ha distrutto la famiglia Buzzago di Goito,{{ una vicenda che tocca le corde più antiche di ciò che di misterioso e oscuro si può nascondere nei legami familiari}}. Qualcosa che suscita una compassione così profonda da averci indotto, in queste settimane, al silenzio. Gli autori e le autrici degli articoli hanno, il più delle volte, cercato di dar conto con discrezione di quanto è accaduto. Più di una volta ci sono stati toni di umana partecipazione anche nei confronti di Paola Buzzago, la donna che ha ucciso entrambi i genitori, in preda a un impulso omicida, nato da un malinteso senso di protezione nei confronti della sorella gravemente malata.

Nei giorni immediatamente successivi all’omicidio (la prima notizia è del 24 marzo) i titoli e gli articoli della “Gazzetta” tendevano a informare dell’accaduto e a evidenziare ciò che caratterizzava {{il rapporto fra Paola Buzzago, i genitori e la sorella}}; unica eccezione il 26 marzo, in prima pagina: {Perizia psichiatrica per l’assassina}, che diventa a pagina 16 un più corretto {Perizia psichiatrica per Paola Buzzago}.

Col passare dei giorni, quando la pubblica emozione va smorzandosi, {{la parola “assassina”, o nel migliore dei casi “omicida”, sostituisce sistematicamente il nome di Paola Buzzago}}. La drammaticità della parola che evoca la responsabilità di chi ha ucciso (e “assassina” suona quasi più sacrilego di “assassino”) restituisce alla storia della famiglia Buzzago-Terreni il climax che col tempo andrebbe scemando, riaggancia il lettore che potrebbe farsi disattento e dà buoni motivi per rimettere Paola in prima pagina. Fin dall’inizio, invece, Sabrina Buzzago compare {{raramente col suo nome proprio}} e il più delle volte è “la disabile” o “la sorella disabile dell’omicida” o, semplicemente, “la sorella”.

{{Questa storia ha un forte potere perturbante}}: il giornale evidenzia le sue ombre, i fantasmi ancestrali che evoca, i piani molteplici, e apparentemente incompatibili, su cui si gioca. Che una delle due protagoniste sia “l’assassina” e l’altra “la disabile” fa parte, direbbe Michel Foucault [[{{Michel Foucault}} (a cura di),{ Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello…Un caso di parricidio nel XIX secolo}, Einaudi, Torino, 1976]], delle “tattiche attraverso le quali si cerca di coprirlo (il potere perturbante delle vicenda, ndr), di inserirlo e di dargli uno statuto”: si tratta di criminali e di handicappati gravi, che oggi, più gentilmente, vengono chiamati disabili. {{Due donne altre da noi}}. Che restiamo, ancora una volta, indenni.