Eleonora Camilli (Redattore sociale) ha raccolto la storia emblematica di Issahaka fuggito dal Ciad a soli 15 anni. Dopo un percorso di inclusione decennale rischia per la prima volta di non vedersi rinnovare la protezione umanitaria. Le stime parlano di 130/140 mila a rischio irregolarità. A pesare anche l’introduzione nel maxiemendamento della lista di Paesi sicuri

Quando ha lasciato il suo paese, il Ciad, aveva appena quindici anni. Le persecuzioni a danno delle sua famiglia durante la guerra lo hanno costretto ad andare via. Prima il viaggio fino a Tripoli, tre anni terribili in Libia, poi l’arrivo in Italia, quasi dieci anni fa: la prima accoglienza a Taranto e il successivo percorso a Parma. Un periodo nello Sprar, un’accoglienza in famiglia nel progetto sostenuto da Ciac onlus, il lavoro, una casa da solo. Quella di Issahaka si potrebbe raccontare come una storia di integrazione riuscita, come tradisce l’accento parmigiano con cui parla. Ma tra poco meno di un mese tutto potrebbe cambiare: la sua protezione umanitaria scadrà il prossimo 20 dicembre e Issakha potrebbe ritrovarsi per la prima volta da irregolare sul suolo italiano.

Una storia di integrazione riuscita, che ora rischia di naufragare. “Irregolare non lo sono mai stato, non lo voglio diventare” ripete, inorridendo alla sola ipotesi di non avere più un permesso di soggiorno in quello che ormai considera il  suo paese. Ancor più assurda per Issakha la ventilata possibilità di un rimpatrio, perché la sua è innanzitutto una storia difficile, di violenza e persecuzione, legata alla guerra tra Ciad e Sudan, che va avanti da anni. Una storia, però, non riconosciuta dalla commissione territoriale che ha esaminato la sua domanda di protezione internazionale, perché allora il Ciad veniva considerato un paese sicuro. Un errore che per anni non è sembrato così grave, ma che oggi alla luce delle nuove disposizioni del decreto sicurezza potrebbe segnare la sua vita. “Quando ho raccontato la mia storia non mi hanno creduto – spiega -. Sono dovuto andare via per problemi molto gravi che avevano coinvolto alcuni miei familiari e mettevano in pericolo anche me. Ma non mi hanno ritenuto attendibile, riconoscendomi solo la protezione umanitaria. Mi sono detto che l’importante era avere un documento per restare. L’ho rinnovato regolarmente negli ultimi anni, ma ora ho paura, paura di diventare irregolare in un paese dove sto da quasi dieci anni, di cui parlo la lingua, dove ho una casa e dove sognavo fino a ieri di aprire una mia attività”. Dopo anni da dipendente, infatti, Issakha aveva deciso di mettersi in proprio, aprendo una bancarella da ambulante. “Se mi tolgono il documento come faccio? Cosa mi metto a fare? E’ incredibile, potrei quasi chiedere la cittadinanza e invece rischio di diventare irregolare. Non mi sarei mai aspettato che una cosa del genere potesse capitarmi – aggiunge -. Parma è la mia città, ci vivo bene, oggi ho 27 anni, quando sono arrivato ero neomaggiorenne. Mi sono sentito accolto, sono stato un anno in famiglia con persone di Parma, che frequento ancora. Ora sarà tutto più difficile, un percorso in salita”. A spaventare Issahaka è anche l’ipotesi dell’espulsione: “Non posso assolutamente tornare nel mio paese, rischierei la vita – ripete -. Non ci voglio neanche pensare”.

A rischio irregolarità 140 mila persone.  “Tutto nasce da un errore di valutazione della commissione territoriale, che anziché riconoscere a Issahaka la protezione internazionale ha riconosciuto la protezione umanitaria. Non hanno creduto, in sostanza, che lui fosse realmente in pericolo. E invece lo è – spiega Cecilia Marazzi, operatrice legale di Ciac onlus -. La decisione era legata all’idea che il Ciad fosse un paese sicuro, nonostante il conflitto in corso col Sudan. Ora è tutto più complicato: per il ricorso rispetto alla decisione della commissione sono scaduti i termini, quello che si può fare è solo ripresentare una domanda d’asilo per richiedere di nuovo l’esame del caso. Nel frattempo l’unico auspicio è che in fase di rinnovo la commissione territoriale riconosca a Issahaka la protezione speciale, che vale un anno ma non è convertibile in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Nella peggiore delle ipotesi, se la commissione non gli rinnova la protezione ed emette decreto di espulsione, si tenterà di fare ricorso a garanzia del principio di non refoulement, perché in caso di rientro in Ciad rischia di subire persecuzione politica”. Ma quello di Issahaka non è un caso isolato, secondo le stime del Tavolo asilo sono circa 140 mila le persone che rischiano di diventare irregolari dall’abrogazione della protezione umanitaria contenuta nel decreto sicurezza, sia per l’impossibilità di rinnovare il titolo di soggiorno sia per l’aumento dei dinieghi. Anche secondo il ricercatore Matteo Villa, di Ispi, entro il 2020 in Italia avremo 60.000 nuovi irregolari. Da aggiungersi agli oltre 70.000 nuovi irregolari nello scenario di status quo. Per una stima pressoché simile di 130.000 totale. Persone in molti casi integrate nel tessuto sociale italiano. Alcuni ora sperano di ottenere una protezione speciale o un permesso per cure mediche, vittime di tratta, sfruttamento lavorativo o altre situazioni specifiche. Ma il rischio, denunciato da più parti, è quello di creare una sacca di persone, che di fatto resteranno sul territorio, da irregolari, diventando facile preda della criminalità organizzata per sfruttamento lavoritivo e non solo.

L’elenco dei paesi sicuri. Inoltre, nel maxiemendamento sostitutivo del decreto legge, che è passato la scorsa settimana in Senato, è stato inserito l’articolo 7 bis che prevede l’istituzione di un elenco di paesi di origine sicuri e di aree interne sicure nei singoli paesi ( secondo il principio di alternativa di fuga interna). Come denuncia il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) “queste previsioni limitano fortemente le possibilità di protezione per i richedenti asilo e non sembrano compatibili, con i diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. Se il richiedente proviene da uno dei paesi in elenco, infatti, la domanda viene trattata in via prioritaria, ed i termini sono raddoppiati rispetto a quelli previsti per la procedura accelerata. Questo, secondo il Cir, “comprime le garanzie procedurali”. “Si introducono nuove ipotesi per la qualificazione della domanda d’asilo come domanda manfestatamente infondata che viene rigettatata dando diritto ad alcuna forma di protezione – spiega il Consiglio italiano per i rifugiati -. Salvo che ricorrano le scarse ipotesi di rilascio di protezione speciale”. Inoltre sarà il richiedente a dover dimostrare l’esistenza di gravi motivi per ritenere non sicura la sua nazione: “con un’inversione dell’onere della prova – conclude il Cir -. In contrasto con il principio generale che prevede un onere ripartito tra Stato ed il richiedente”. (Eleonora Camilli . 12 novembre 2018)