L’Italia sarebbe agli ultimi posti rispetto agli altri paesi dell’Unione europea in materia di discriminazioni sul lavoro. Lo si desume dal numero di infrazioni che Unione ha indirizzato all’Italia per il mancato recepimento di direttive o per violazione del diritto comunitario.La legge Comunitaria 2008, attualmente in discussione nel parlamento italiano, contiene una delega al Governo per il recepimento della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, che riguarda l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione ed impiego.

La direttiva avrebbe dovuto essere recepita entro il 15 agosto 2008 (anche se la direttiva stessa consente il differimento di un anno per “particolari difficoltà”), il nuovo termine è il 15 agosto 2009.

La direttiva in discussione viene definita di “rifusione”, cioè un nuovo testo che riunifica, sostituisce o abroga precedenti norme, introducendo modifiche anche sostanziali. In sostanza,{{ la nuova direttiva riordina la materia della parità di trattamento nel lavoro pubblico e privato}}, il Codice di pari opportunità tra uomo e donna, il Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.

Le nuove norme che dovrebbero essere introdotte nell’ordinamento italiano riguardano:
– {{la parità retributiva}}: si stabilisce, in primo luogo, la necessità di eliminare ogni discriminazione tra i sessi, diretta o indiretta, nella remunerazione di uno stesso lavoro o di un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. Inoltre, quando le retribuzioni sono determinate sulla base di un sistema di classificazione professionale, occorre garantire che vengano applicati gli stessi criteri sia per i lavoratori di sesso maschile sia per quelli di sesso femminile;
– {{i regimi professionali di sicurezza sociale}}: sono i regimi che assicurano protezione contro rischi derivanti da malattia, invalidità, vecchiaia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e disoccupazione, la direttiva vieta ogni discriminazione nell’accesso a questi regimi fondata sulla differenza di genere. E’ esclusa, inoltre, qualsiasi discriminazione per quanto concerne l’obbligo di versamento e la misura dei contributi, nonché l’importo, la durata e il mantenimento delle prestazioni. Le disposizioni si applicano a tutta la popolazione attiva, compresi i lavoratori autonomi – salvo alcuni casi elencati nella direttiva – ai lavoratori che hanno interrotto la loro attività per malattia, maternità, infortunio, disoccupazione involontaria, ai pensionati e ai lavoratori invalidi;
– {{l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale e le condizioni di lavoro}}: La direttiva vieta qualsiasi discriminazione basata sul sesso, tra cui i criteri di selezione per l’accesso ad un impiego, pubblico o privato; le condizioni di assunzione; la formazione professionale; le condizioni di lavoro, di licenziamento e la retribuzione. Agli Stati membri è lasciata la possibilità di derogare al principio di parità di trattamento nei casi in cui un dato lavoro, per la particolare natura e le caratteristiche, possa essere espletato meglio da un lavoratore di un dato sesso. Sono poi tutelati i diritti delle lavoratrici in congedo per maternità, nonché dei genitori in congedo parentale e/o di adozione (laddove gli Stati membri riconoscano tali regimi).

La direttiva prevede inoltre che gli {{Stati membri adottino norme che garantiscano la tutela giurisdizionale del diritto di parità di trattamento}}, nonché forme di risarcimento o riparazione dei danni, riprendendo il principio dell’onere della prova, in base al quale la parte convenuta dovrà provare l’insussistenza della violazione, laddove la parte lesa avrà prodotto elementi sufficienti da far ritenere che si sia verificata una forma di discriminazione.

{{Gli Stati membri dovranno inoltre}}: designare uno o più organismi, incaricati, tra l’altro, di prestare assistenza alle vittime delle violazioni e di svolgere opportune inchieste; adottare misure in favore del dialogo tra le parti sociali e con le organizzazioni non governative; stabilire norme atte a proteggere i lavoratori dai trattamenti sfavorevoli (da parte dei datori di lavoro), che costituiscano una reazione ad una richiesta di rispetto del principio di parità di trattamento.

Agli Stati membri è rimessa la scelta del regime sanzionatorio per i casi di mancata osservanza delle norme di recepimento della direttiva.

Sono 181 le procedure di infrazione a carico dell’Italia per mancato recepimento di direttive o per violazione del diritto comunitario.

{{Cinque le infrazioni in materia di pari opportunità in materia di occupazione ed impiego}}:

– Non corretta trasposizione delle direttive [2002/73/CE->http://www.consiglieraparitatorino.it/l_2002_cee.htm] e 2006/54/CE relative alla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro

– Non corretta trasposizione della direttiva 2002/73/CE del principio della parità di trattamento tra uomini e donne riguardo all’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e alle condizioni di lavoro

– Non corretta trasposizione della direttiva [2000/78/CE->http://www.donne-lavoro.bz.it/download/284d2549_v1.pdf] sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

– Sospensione del diritto di ricevere la retribuzione contrattuale in associazione al divieto di lavoro notturno per le lavoratrici in stato di gravidanza (art.35 del [decreto legislativo 151/2001->http://www.parlamento.it/leggi/deleghe/01151dl.htm])

– Età pensionabile dei dipendenti pubblici: differenza tra uomini e donne