indexUn articolo di Gisella Modica

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Dal 16 al 25 giugno si svolgerà a Palermo il Pride, che sarà dedicato alle vittime in Florida, e che quest’anno apre le porte al tema delle migrazioni supportando “Convoy to Calais”, il convoglio di aiuti partito da Londra per i rifugiati di Calais. “Migrare è umano. Identità in attesa di giudizio” è infatti lo slogan scelto. “Migrazioni da paese a paese, ma anche da identità a identità, non dimenticando così tutte quelle persone che vivono con un giudizio sospeso, che attendono il ‘permesso’ per vivere” ha dichiarato il coordinatore Massimo Milani.

Dal 2010 ad oggi a Palermo si sono susseguiti diversi Pride che fin dalla prima edizione hanno omesso la parola “gay” come scelta politica di inclusione, passando per quello nazionale del 2013, interamente diretto da donne (presidente e vicepresidente e tesoriera erano lesbiche), che coinvolse per 10 giorni oltre 350mila persone, e che spostò l’attenzione sulla questione dei diritti in generale, a partire dal diritto al lavoro degli operai della Fiat di Termini Imerese. Gestito da donne, in particolare da Palermo Lesbicissima, fu anche il Village allestito alla Zisa, luogo di presentazioni, incontri, dibattiti, ma soprattutto di festa a cui partecipò la città.

Uno dei fili conduttori dei diversi Pride è stato rilanciare il dialogo tra movimento LGBTQI, e in particolare tra lesbismo e le diverse anime del femminismo palermitano. Come spiega Maria Livia Alga, una delle fondatrici di Palermo Lesbicissima nel libro collettaneo Donne + Donne “se da un lato nel pensiero e nella pratica del femminismo italiano della differenza sessuale lesbica è una parola ancora poco pronunciata, dall’altro l’affermazione di molte lesbiche di proporre un movimento che non si riduca a delle rivendicazioni identitarie è una scommessa che le femministe sono disposte a sostenere”. La scelta del nome è già una dimostrazione. “Il superlativo – lesbicissima – è inclusivo perché forza una etichettatura fino al paradosso includendo tutto un territorio metaforico e letterale in quanto come lesbica non mi sento invasa e come femminista non mi sento esclusa … permettendoci di compere dei passaggi e di creare nuove forme di movimento”.

Maria Livia è stata la coordinatrice dell’incontro sul tema Le donne e la città. Gemmazioni carsiche a Palermo, svoltosi di recente alla presenza di Chiara Zamboni, filosofa del linguaggio.

Chiara sul sito della comunità filosofica Diotima evidenzia nella città di Palermo un “laboratorio vivente e significativo” di sperimentazione politica e di pensiero capace di fare dialogare le differenze trasformandole in connessioni. Sia differenze sociali, di classe, tra quartieri che mappano la città; sia differenze all’interno del movimento tra eterosessuali, gay, lesbiche, trans, queer. “Differenze, frutto di esplorazioni” che diventano “attraversamenti” dando vita a “forme inedite di esistenza, di convivialità e inclusività là dove non ci sono modelli prestabiliti da seguire”.

La sensazione che se ne ricava “è quella di un’onda in continua modificazione e gemmazione” che Chiara attribuisce ad una presa di distanza dalla legge per avere riconoscimento dallo Stato. Preferendo il riconoscimento che proviene dallo scambio, dove la misura è data dalla fiducia. Tutto questo grazie ad “una genealogia di matrice femminista che di generazione in generazione ha riformulato la politica con le pratiche del partire da sé … impensabile in altri contesti dove invece è maturato un conflitto quasi irreparabile”.

A mio parere tutto questo affonda le radici anche nell’anima della città.

A Palermo la contaminazione, la predisposizione all’accoglienza, alla convivialità per ogni occasione; ma anche ad inventarsi nel quotidiano forme di sopravvivenza fanno parte dello spirito della città. Sopravvive soprattutto nell’anima delle donne che abitano nei quartieri storici dove brutto e bello, sacro e profano si mescolano: donne vulnerabili, senza tetto e senza lavoro che mi è capitato di frequentare. E qui vulnerabilità la intendo alla maniera di J. Butler come capacità ad esporsi, ad aprirsi ad altri corpi, ammettendo il bisogno che l’uno ha dell’altro. Al sud la mancanza o l’arrivo tardivo dell’emancipazione, e del welfare in generale, ha infatti costretto uomini e donne a cercare fuori dal diritto e dalla legge soluzioni ai problemi. Ad inventarsi soluzioni creative di sopravvivenza e sostegno reciproco, assumendosi il rischio della propria scelta, a calcolarlo basandosi sulla fiducia.

Il Pride secondo Chiara Zamboni ha dato inizio “a qualcosa di nuovo”. Intorno a questo – nell’incontro sopra citato – hanno dialogato le diverse anime del femminismo storico con alcune componenti del movimento LGBTQI. Negli anni ’80 il femminismo era basato sulla continuità, la somiglianza tra donne, al di là delle differenze, ha sostenuto Chiara. Oggi intendendo la libertà femminile come esplorazione di forme inedite di esistenza, il dibattito sta più nell’invenzione di pratiche in un contesto di rapporti tra donne non scontati. È il passaggio da un’epoca ad un’altra del femminismo. Ma bisogna tornare a riflettere sulla sessualità tra donne. Il ricatto della trasparenza da parte dello Stato e la richiesta di una dichiarazione identitaria per accedere ai diritti la sottomette ad una visibilità pubblica che può risultare pericolosa. Bisogna poter esplorare nuove vie, avendo come misura la fedeltà al senso politico della propria esperienza e la fiducia nell’altro/a.

 

Chiara Zamboni, Le donne della Cattedrale e Donne + Donne, due libri dalla città di Palermo in www.Diotimafilosofe.it – Per Amore del mondo n. 13 2015;

Donne+ Donne, Prima, Attraverso e Dopo il Pride, a cura di Roberta Di Bella e Romina Pistone, 2014 edizioni Qanat, Palermo.

Maria Livia Alga, O si è felici o si è complici: etnografia di una festa in Diotima, La Festa è qui, Napoli, 2012, Liguori.

Judith Butler, A chi spetta una buona vita, Roma, 2013, Nottetempo.