Pina, Filomena, Giusi, Anna Virgina, Archetta: sono alcuni dei quaranta nomi
delle donne di Torre del Greco che occupano il reparto maternità
dell’Ospedale Maresca. Lo occupano da sei mesi (con Natale e Capodanno)
perché si protestano contro il provvedimento che ha trasferito il sevizio (e
il personale) in un ospedale più piccolo, meno attrezzato e con meno posti
letto (quello di Bosco Tre Case). Temono tra l’altro che venga chiuso agli
utenti anche il resto della struttura.

Ci si chiede perché nella logica del “rientro dal debito sanitario” e in
quella della riduzione degli sprechi attraverso i cosiddetti accorpamenti, a
pagare, insieme alle utenti, sia anche, a volte, il buon senso. Che
accorpamento è un trasferimento di servizio tanto essenziale, un punto
nascita, in una struttura meno attrezzata e meno raggiungibile, sprecando
così il frutto evidente di un investimento importante in macchinari e
viabilità destinata? E poi la solita domanda: perché ogni manovra politica
in sanità comincia sempre colpendo la sfera femminile?

La Sanità pubblica è sempre più gestita da strutture private che, senza
nessun timore di esagerazioni (parlano le statistiche), possono essere
definite cesareifici, pagati con denaro pubblico. Il tutto col pretesto del
risparmio e dell’efficienza ed invece, ineluttabilmente, aumentando la spesa
e usando i bisogni e i corpi come merce.

I piani di razionalizzazione della spesa in sanità non hanno testa, e le
donne non sono là dove si decide, né occhi per vedere che senza
infrastrutture, in un territorio fatto di enclave come quello della
Provincia di Napoli, spostare un servizio significa renderlo invisibile ed
irraggiungibile.

C’è una grande “moralizzazione” nazionale che sta prendendo in ostaggio la
libertà e la salute sessuale e riproduttiva delle donne, una sorta di stato
etico paladino di una vita teorica, uno stato la cui testa non si mostra
mai. Non si mostra e nasconde le testimoni vittime. Vittime della negazione
del diritto a vivere con salute la propria facoltà di generare e la propria
libertà di gestirla.

Essere madri è una scelta che comporta molte difficoltà “procurate”,
qualcuno continua a procurarne sempre di nuove, e non staremo qui a fare
l’elenco che ci porterebbe troppo lontano da un ospedale che non va chiuso e
che deve funzionare bene: come mai prima e come le donne di Torre del Greco
vogliono.

C’è un’ultima domanda che forse chi legge si sta ponendo. Come mai un fatto
tanto eclatante come l’occupazione, da parte delle cittadine, di un reparto
maternità non è arrivato alla cronaca nazionale?

Non è domanda alla quale chi scrive può rispondere, e andrebbe posta ai
direttori delle testate regionali della RAI, di Mediaset della Repubblica,
del Mattino, del Corriere del Mezzogiorno, di Radio 24, di Radio Radicale
ecc… .

Intanto oltre alle vittime solite dell’oscuramento, si aggiunge una vittima
istituzionale, rea di aver prestato fede all’impegno di stare dalla parte
delle cittadine “per mandato”. È l’assessora alle pari opportunità del
Comune Olga Sessa, alla quale è stato evocato l’incarico con notifica del
giorno 11 gennaio. La razionalizzazione della spesa pubblica allora forse è
solo apparentemente irrazionale e contraddittoria, ma è anzi profondamente
coerente ad una logica che lascio ad altri definire.

Gli onorevoli De Magistris, Luisa Bossa, la consigliera regionale Anna
Petrone hanno preso pubblicamente degli impegni, a cui, si può essere certe,
le cittadine di Torre del greco saranno attente. Ci sono impegni che però
sono già stati disattesi tra cui quello della libera informazione, che
quando riguarda le donne non è reclamata, sorprendentemente, dagli
specialisti della democrazia culturale.