le zone segnate in giallo, atrancione e rosso sono quelle dove le popolazioni soffrono di più la fame a causa di guerre, agenti climatici, carestie, organizzazione sociale, appropriazione indebita delle risorse

Indice globale della fame, curato dal Cesvi. Anche se la fame nel mondo è diminuita del 21%, le disuguaglianze riducono allo stremo intere popolazioni, in particolare donne, bambini, contadini e minoranze etniche. In 8 paesi situazione più grave: tra questi Yemen, Repubblica Centrafricana, Ciad, Liberia, Madagascar

La Comunità internazionale si è impegnata, aderendo agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, a sradicare la fame entro il 2030: ma sarà ben difficile che ci riuscirà se non verranno eliminate le disuguaglianze. “La fame e la disuguaglianza sono strettamente interconnesse”, sottolinea il Rapporto sull’Indice globale della fame, curato per l’edizione italiana da Cesvi, ong membro del network internazionale Alliance2015. Il Rapporto è stato presentato questa mattina a Bergamo, nell’ambito della “Settimana dell’Agricultura e del Diritto al cibo”, organizzata dal Comune, alla vigilia del G7 Agricoltura, in programma nelle giornate del 14 e del 15 ottobre. Complessivamente la fame nel mondo è diminuita del 27,1% rispetto al 2000. L’indice globale della fame (GHI) viene calcolato sulla base di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità infantile. Il risultato di questo calcolo si posiziona in una scala di 100 punti, dove 0 rappresenta il valore migliore (assenza di fame) e 100 il peggiore. A livello mondiale ora il GHI è ora pari a 21,8, mentre sette anni fa era 29,9. Dei 119 paesi presi in esame nel rapporto di quest’anno, solo uno rientra nella categoria “estremamente allarmante” della Scala di Gravità dell’Indice; 7 rientrano in quella allarmante; 44 in quella grave; 24 in quella moderata. Solo 43 paesi hanno un punteggio basso. Va detto anche che 9 dei 13 paesi privi di dati sufficienti per il calcolo del GHI 2017 sono fonte di notevoli preoccupazioni, come per esempio Somalia, Sud Sudan e Siria.

Nel complesso, i dati relativi ai quattro indicatori del GHI segnano una flessione e tracciano una tendenza di segno positivo: la percentuale di popolazione denutrita è al 13%, rispetto al 18,2% del 2000; il 27,8% dei bambini sotto i cinque anni soffre di arresto della crescita rispetto al 37,7% del 2000; il deperimento affligge il 9,5% dei minori di cinque anni, rispetto al 9,9% iniziale e il tasso di mortalità sotto i cinque anni è al 4,7% rispetto all’8,2% originario. Anche se ci sono stati miglioramenti, la situazione per milioni di persone è drammatica, soprattutto per le donne, i bambini e per le popolazioni rurali o le minoranze etniche.

“La disuguaglianza può assumere diverse forme, e non è sempre facile comprendere com’è legata alla fame o come la intensifica –si legge nel rapporto-. Per fare un esempio, donne e bambine rappresentano il 60% degli affamati nel mondo. Questo è l’effetto provocato da strutture sociali profondamente radicate, che escludono le donne dall’accesso all’istruzione, alla salute e alle risorse. Analogamente, è tra le minoranze etniche, spesso vittime di discriminazioni, che si registrano i più alti livelli di indigenza e di fame. La povertà, la più chiara manifestazione di disuguaglianza sociale, è forse ancora più strettamente legata alla fame. Tre quarti dei poveri del mondo vive in aree rurali, dove la fame è tendenzialmente più forte”.

In otto paesi registrano livelli di fame estremamente allarmanti o allarmanti. A parte lo Yemen, tutti si trovano in Africa a sud del Sahara: Repubblica Centrafricana, Ciad, Liberia, Madagascar, Sierra Leone, Sudan e Zambia. Molti di questi paesi hanno vissuto crisi o conflitti violenti negli ultimi decenni. In particolare, Repubblica Centrafricana e Yemen in anni recenti sono stati lacerati da guerre civili. “L’Indice Globale della Fame disegna i contorni di un sistema che continua a penalizzare chi è ai margini e di un’emergenza ancora lontana da risposte risolutive – afferma Daniela Bernacchi, Ceo e General Manager di Cesvi -. Da oltre trent’anni, Cesvi fa della lotta alla fame il cuore del suo lavoro.  Oggi, siamo attivi in 23 Paesi e nei contesti più critici, dove la fame mette a rischio la vita di migliaia di persone come ad esempio in Somalia colpita da una delle peggiori carestie della storia e uno dei paesi dai quali si origina parte del flusso migratorio”. (dp)