La Rete Disarmo (www.disarmo.org) ha lanciato l’allarme rosso: il Governo Berlusconi intende modificare da solo la legge sull’export di armi. Forse non tutti ricordano che {{nel 1990}}, giusto vent’anni fa, fu approvata, dopo proposte, discussioni e rinvii, con la legge 185, {{una regolamentazione finalmente democratica del commercio delle arm}}i. Ma tutti riconosceranno di sicuro {{l’importanza di un controllo che assicuri trasparenza}} ad un settore che ha bisogno di particolare attenzione, perché le armi non sono noccioline e finiscono per colpevolizzare i lavoratori di un comparto che non soffre mai disoccupazione.

Quelle che i governanti sono soliti chiamare “le dure necessità” della produzione e della concorrenza impongono alle autorità preposte grande attenzione affinché questo mercato non coinvolga i paesi democratici in vendite a paesi dittatoriali o in triangolazioni oppure strumentalizzi l’opportunità di innovare escludendo dal controllo, per esempio, le armi leggere; ma impegnano anche l’informazione a far riflettere i cittadini amanti della pace, consapevoli che l’Italia è stata ed è presente su diversi teatri bellici non solo con le missioni “umanitarie”, ma anche con armi di marca italica che talvolta hanno sparato (e sparano) su entrambi i fronti.

La revisione giuridica ci viene{{ imposta da una direttiva europea}} dello scorso anno che mira ad integrare le normative relative alla produzione bellica e difensiva (e, quindi, il mercato comunitario del settore). Ricordiamoci che, quando il coordinamento pacifista impegnato contro i “mercanti di morte” era pervenuto ad un primo risultato soddisfacente, si credeva di poter proseguire la campagna estendendola agli altri paesi europei per arrivare a standard commerciali che impedissero ai paesi disponibili a ridurre la produzione di favorire all’interno della Comunità il vicino non rinunciatario.

Tuttavia, nonostante perfino Spadolini, ministro della difesa negli anni Ottanta del secolo scorso, avesse immaginato una regolamentazione comunitaria, la mobilitazione su questo versante è rimasta in tutto questo tempo difficile ovunque.

Oggi {{l’Unione Europea}}, mentre procede sul giusto terreno dell’armonizzazione delle legislazioni, {{apre a nuovi rischi}}. Come dice {{Achille Tagliaferri delle ACLI}}, “la recente crescita esponenziale del nostro export militare non ci può lasciare indifferenti in un mondo dominato dai conflitti e in cui le spese belliche stanno aumentando mentre la crisi economica è così profonda”. Le “buone intenzioni” dell’UE potrebbero dunque finire per avere una funzione cosmetica e {{aprire varchi alla deregulation più equivoca}}.

Ma, a prescindere dalle prospettive generali, {{l’Italia sta correndo un più grave rischio}} perché affiderà la revisione alla discrezionalità del governo – di “questo” governo – che ha deciso di provvedere mediante {{un disegno di legge delega}}.

La prassi è pericolosa, perché {{ancora una volta si viola la funzione costituzionale del Parlamento,}} ma soprattutto perché la materia ha bisogno non solo della più ampia discussione istituzionale, ma della più seria partecipazione pubblica al dibattito. Un governo che ha come regola per sé e per i privati il mercato senza regole e che già ha occultato tabelle e dati dei flussi finanziari relativi alla produzione e ai trasferimenti di armi può senza scrupoli far ricadere sul popolo sovrano la responsabilità di quelle bombe che{{ il ministro La Russa}}, fortunatamente contestato perfino dagli Usa, intendeva far cadere sulla testa della popolazione civile afgana. Non dimentichiamo che l’UE aspetta il recepimento della direttiva per giugno dell’anno prossimo….

{immagine da inaltreparole.net}